PELLEGRINO ARTUSI

TRA PASSATO

E FUTURO

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La vita; 

I luoghi; 

I personaggi; 

La cultura (i testi letterari)

L'ARTUSI DUNQUE SOTTOLINEAVA CON FORZA LA STRETTA RELAZIONE ESISTENTE FRA ATTIVITA' FISICA, ALIMENTARE E SALUTE; UN TRINOMIO CHE, AI TEMPI NOSTRI, SAREBBE DIVENTATO INSCINDIBILE.  (da B.Valentini....)

ARTUSI ....UN ALCHIMISTA ?

La cucina non è molto grande.....c'è un po' di fumo. Il piccolo mantice di cuoio si alza e si abbassa lentamente, come un respiro affaticato, le fiamme del camino avvampano per un attimo e lanciano bagliori che creano ombre lunghe nell'ambiente...è l'ombra di Sibillone che come un vampiro sta appollaiato sulla credenza in attesa d'essere chiamato al suo lavoro di assaggiatore. E' una sera poco fortunata..il suo padrone non riesce ad ottenere l'esito sperato e si arrabbia...ancora una volta l'intruglio non gli è riuscito....chissà perchè....qualche ingrediente sbagliato o non giustamente dosato?.....forse il tempo di cottura è sbagliato?....mai arrendersi dice Artusi e avanti con altre prove fino all'alba. Il grande uomo ha ora in mano un pentolino ed un cucchiaio..si sente il gorgoglio dello strutto che frigge...il profumo ti prende la gola....sotto il suo effetto anche la più povera delle sostanze miscelate diventa gustosa proprio come il mercurio per gli Alchimisti.....infatti..... "Il mercurio - dicevano costoro- era imperfetto poichè non arrivava mai alla coagulazione ma era lo spirito di tutti i metalli, questi penetrandoli esercitava in loro un' azione mirabile....Sotto l'effetto del mercurio anche la più povera lega di cinabro e di piombo diventa oro"......Ma questa volta l'oro e neppure l'argento non è stato ottenuto...Oggi è proprio un giorno poco propizio. Artusi consulta ancora i suoi appunti, cancella e riscrive alcuni passi, eppure grandi variazioni non sono state fatte, chissà come mai i risultati sono stati così poco soddisfacenti?...e guarda verso la finestra...si ferma un istante osserva la volta stellata...la Luna e alza le braccia al cielo...forse sì proprio la luna e gli astri non occupavano, quella sera, la posizione favorevole ad influssi positivi verso la sua trasmutazione....ah! se ci fosse Nostradamus! Forse lui in fatto di astri saprebbe capirli meglio e sapere se quella sera ti sono proprio contro o se può valer la pena insistere. Povero Artusi, dopo tanta fatica, doversi anche rassegnare al peggio e per di più restare anche senza cena?...giammai!

Riprova di nuovo, prende altri ingredienti, al diavolo Nostradamus con le sue superstizioni, che il Diavolo se lo porti, e .......pensando al diavolo gli viene naturale....da buon superstizioso, eccedere nell'uso dell'aglio che, come sappiamo, è utile per tenere lontani gli spiriti maligni.

Al termine del suo mescolare e cuocere, friggere o soffriggere, scaldare e rimescolare...ecco il risultato...con un po' d'aglio in più è tutta un'altra cosa.

Gli spaghetti alla rustica sono serviti...alla faccia dei Romani e di Alfonso d'Aragona.....un omaggio a quei maghi Egizi e al padre di tutti gli Alchimisti il grande Ermete Trismegisto.

......il secondo incontro con l'alchimista Artusi

Le ricette dell'Artusi hanno lo stesso effetto dell'electron il famoso metallo che gli alchimisti ottenevano, come affermava Paracelso, con oro, argento, rame, stagno, piombo, ferro e mercurio ......tutti gli ingredienti che egli usa per far impazzire i golosi e i buongustai non son altro che le semplici cose che madre natura ci mette a disposizione...queste diventano, grazie al suo atanor, il forno dove gli alchimisti tentava la trasmutazione, vero oro per il palato dei tanti gastronomi che aumentano sempre più...o meglio, coloro che si spacciano per tali e ve ne sono tanti soprattutto oggi (io ne conosco fin troppi)....ma pochi saranno poi gli eletti o veri creativi...gli altri annuseranno solo gli odori o gusteranno i sapori o si rimpinzeranno la panza. E come non considerare l'oro dell'Artusi la più grande invenzione che uomo possa aver creato......i Passatelli così chiamati perchè passati a forza attraverso il ferro munito di tanti buchi...ecco che il ferro trasforma in oro le cose più buone, più nutrienti ma anche più semplici  che mamma natura ci ha regalato....o ancora i suoi gnocchi di farina gialla color dell'oro... Artusi come gli alchimisti lavora nel suo antro in silenzio e appartato, isolato come un eremita...gli manca forse la parola?....vorremmo che l'Artusi si mettesse in mezzo alla piazza del paese a gridare...Udite! udite!...magari con un trombone in mano come fece il Passatore, udite falsi sapienti!...Io Artusi Pellegrino vi dico che il mio cappello è più dotto delle vostre scuole da intellettualoidi senza palato e che un pelo dei miei mustacchi ne sa più delle vostre accademie.......O voi Francesi.........io Pellegrino Artusi da Forlimpopoli sarò il vostro re!..... E' forse questo l'Artusi che molti romagnoli vorrebbero vedere e sentire?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In memoria di Escoffier Olga Perla slow -messaggero di gusto e cultura-numero 16, gennaio - marzo 2000 

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I grandi cuochi muoiono non d’oblio ma delle leggende che fioriscono su di loro, e, dopo una vita oscura, ne cominciano una seconda, immaginaria. Dai sogni architettonici di Carême alle sfoglie di André Guillot, la loro arte sembra condannata a rinascere, più che nella materia e nel gusto, nell’encomio o nella parodia. A pochissimi è concesso di sopravvivere grazie ai ricettari e agli allievi, di perpetuarsi nelle mode conviviali, e, di questo privilegio, in Francia, gode oggi forse il solo Escoffier. Nato nel 1846 e morto nel 1935, ha vissuto due vite, diretto le cucine più apprezzate d’Europa e allevato generazioni di chef e questi ne hanno ravvivato, per decenni, l’insegnamento nei grandi alberghi e nei ristoranti. Manager e maestro, uomo del mestiere e “maresciallo della cucina francese” e, dopo gli ottant’anni, sempre con la penna in mano, deve alla molteplicità dei ruoli (e delle onorificenze), alla sua conoscenza della piazza londinese (in cui visse trent’anni) e dell’industria alberghiera americana, il suo ruolo strategico. Cuoco dei principi e delle dive, stilista della tavola, ha fatto della creatività un gioco serio, prima che questa venisse rivendicata da nuove cucine.
Escoffier è sopravvissuto alla sua leggenda, grazie agli strumenti di lavoro da lui pubblicati, in particolare il Guide culinaire, e a un lascito personale, infrequente per i cuochi, le sue memorie. Il loro titolo, Souvenirs inédits, è una trovata editoriale tardiva: appaiono infatti, per iniziativa del nipote Pierre, presso le edizioni Jeanne Laffitte, nel 1985, a colmare un vuoto che solo una biografia scritta da due allievi, Eugène Herbodeau e Paul Thalamas, pubblicata a Londra nel 1955, aveva riempito. Su questi ricordi, tradotti in inglese (Auguste Escoffier, Memories of my life, New York, Van Nostrand Reinhold, 1997) e in italiano (Ricordi inediti, Bra, Slow Food, 1999), ci soffermeremo brevemente, raccomandandone la lettura. Che cosa spinge un cuoco a confessarsi? Non certo la sua arte che si traduce meglio in ricette e menu, né il suo talento celebrato con frasi più felici dai giornalisti. Le memorie rischiano sempre di svelare il lato in ombra della professione, l’apprendistato e le peregrinazioni, e quello vergognoso, l’improvvisazione e i trucchi del mestiere, compromettendo una fama costruita sul modello di uno spettacolo conviviale perfetto. Infatti, dal 1935 i Souvenirs inédits aspetteranno cinquant’anni prima di apparire, fornendo una immagine del personaggio più documentaria che intima. La loro storia è tuttavia complessa, non essendo una tardiva onoranza dei suoi discendenti ma una scelta dell’autore, maturata a tarda età. Dopo l’abbandono dell’Hôtel Carlton di Londra, ritiratosi nel 1920 a Monte Carlo, Auguste Escoffier, oltre a operare come consulente in Europa e in America, scopre la professione di pubblicista. Lo invitano a scrivere le testate più autorevoli dell’industria alberghiera francese, L’Hôtellerie in particolare, Le grand journal de l’industrie hôtelière et du tourisme, con il preciso intento di offrire a un pubblico di addetti ai lavori, dei ricordi mondani, dei menu d’autore e qualche ricetta inedita. A questo mandato Escoffier obbedisce con articoli rigorosamente costruiti in tre punti: la scelta di una occasione conviviale, la compilazione di un menu e alcune ricette. Gli si chiedeva di frugare in sessant’anni di carriera professionale, ritirandone personaggi illustri e cene famose, Escoffier interpreta il mandato in senso più ampio e personale. Si compiace di tratteggiare il suo ruolo di visitatore, in casa di conoscenti o amici; si fa portavoce della perizia delle padrone di casa e delle cuoche, e accoglie l’invito di una coppia residente a Londra ma in vacanza in una villa sulla Costa Azzurra, fra fiori e fragole, per descriverne l’ospitalità. Il vecchio ed elegante signore, in ritiro a Monte Carlo, fa la sua parte con brio. Ripensa ai momenti di gloria, l’incontro con Zola (L’Hôtellerie, 21 novembre 1929) o la guerra del 1870 nel campo di Magonza (L’Hôtellerie 26 dicembre 1929), tutti raccolti nei Ricordi inediti, ma, ancor uomo di mondo, partecipa alla vita della Riviera con piccole escursioni nei giardini segreti del gusto, con passeggiate favorite da un clima mite e da quei profumi cui la cucina deve tutto.

Dal 1929 al 1935, degli oltre sessanta articoli pubblicati nell’Hôtellerie, un terzo parlano di piatti, ortaggi, vini, oli provenzali. Da Monte Carlo alla Linguadoca, dalle Alpi Marittime alla Provenza, con escursioni nelle isole di Lérins e in Corsica, è un grande bacino votato all’espansione turistica che viene esplorato con una attenzione alla cucina di casa più che di albergo. Gli stessi personaggi famosi, egli li ha spesso ricercati perché conterranei (Escoffier è nato a Villeneuve-Loubet, nel contado di Nizza, al tempo dei Savoia). Di Zola lo interessavano le origini piemontesi e provenzali, la sua passione per il cassoulet, i cavoli farciti, le sardine appena pescate, i tartufi bianchi (sulle uova strapazzate). Frédéric Mistral, padre e poeta dell’autonomia culturale della Provenza, cui aveva reso visita nel settembre 1913 a Maillane, riaffiora in un souvenir del 20 febbraio 1930. Vi racconta il pranzo, preparato da donne in costume arlesiano, con prodotti autoctoni. Il piatto migliore? Le torte di gamberi di fiume accompagnate da un piattone di cosce di rana fritte nell’olio d’oliva, cappelle di porcini nere e spicchi d’aglio cotti sotto la cenere. Il filo con cui Escoffier ricuce i ricordi è unto d’olio e sfregato d’aglio, due odori ignoti a molti suoi clienti parigini e londinesi. I lettori dell’Hôtellerie ne apprezzano tanto più i consigli che tutta la cultura gastronomica degli anni ’30 ha volto le spalle a una tavola francese internazionale, riscoprendo i piatti del territorio e riproponendoli. Escoffier, chef del Savoy, quindi del Carlton, parla la stessa lingua delle nuove generazioni, e suggerisce alle future di uscire dalle cucine, visitare il paesaggio, scoprirne i segreti. Venendo da un ottantatenne, il suo messaggio appare personale, se non addirittura passionale. Le sue cronachette fanno presagire qualcosa di più. Infatti il 18 giugno 1931, si poteva leggere questo annuncio nell’Hôtellerie: Le memorie del maestro Escoffier. Tre quarti di secolo risuscitano dalla sua penna
Grazie a una indiscrezione, siamo venuti a conoscenza che il nostro illustre collaboratore Escoffier, soprannominato il “Maresciallo della cucina Francese”, sta consacrando attualmente i suoi momenti di svago alla redazione delle proprie memorie (dal 1846 al 1930)

Il trafiletto proseguiva assicurando che, benché affaticato, nel suo ritiro di Monte Carlo, il maestro era ormai a buon punto e avrebbe licenziato il lavoro nel prossimo luglio, sollecitato da un editore svizzero e, dopo il suo viaggio negli Stati Uniti (1929), da un altro editore americano. Alle cronache già note, fra cui quella del 19 giugno 1930, consacrata alla pesca Melba e ripresa in diversi periodici, dalla Tribune de Marseille et la Provence hotelière alla Hôtellerie française del 20 agosto 1930, Escoffier ne aggiungeva di nuove, scegliendo gli aneddoti che potevano stuzzicare la curiosità del pubblico o stupirlo maggiormente. Lo scavo nel proprio passato, all’età di ottantaquattro anni, è l’occasione per continuare a vivere sempre meglio, dal lato della tavola in cui siede l’ospite, e forse per questo, nel luglio 1930, il gusto per gli anni lontani gli vieta di troncarne il filo con una pubblicazione. Anzi riprende l’autobiografia e la tiene per sé fino alla morte, modificando alcuni episodi e tralasciandone altri, persino uno che risale al 1856 quando aveva dieci anni (“Histoire de deux petits cochons d’Inde”, L’Hôtellerie, 5 marzo 1931)
Tenendo egli custodito il dattiloscritto dei Ricordi (cui penseranno i nipoti), è la stampa professionale che gli dà voce e una parte. Di ritorno, nel novembre 1930, dal suo quarto viaggio negli Stati Uniti, in pieno Proibizionismo, egli consegna impressioni, ricette e un grande menu confezionato e servito con vini francesi, segretamente portati dagli ospiti (L’Hôtellerie,18 dicembre 1930). Onorificenze, saloni della ristorazione e soprattutto banchetti, in cui siede a capotavola, lo occupano negli ultimi anni. Nel 1934, dopo una lunga malattia e tre settimane di ricovero in una clinica di Nizza, la convalescenza di Escoffier viene festeggiata dall’Hôtellerie con un menu di suo pugno. L’ultimo suo articolo è pubblicato il 15 novembre, due mesi prima della morte, e rappresenta l’addio ai lettori. Consultato da un gruppo di giocatori inglesi, decisi a festeggiare a tavola il loro passaggio al Casino del Principato, Escoffier esita per ragioni di salute e infine accetta l’incarico e l’invito, avvalendosi della collaborazione del direttore dell’Hôtel de Paris e del suo chef, l’amico Rampaldi. Firma così e pubblica il menu di un pranzo d’autunno con qualche colore primaverile ed estivo, in cui si ritrovano lo stile franco-inglese delle stagioni del Carlton, un fuggitivo omaggio alla Linguadoca e qualche prodotto della regione subalpina e della Provenza.