PELLEGRINO ARTUSI...

PERSONAGGI

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La vita; 

I luoghi; 

I personaggi; 

La cultura (i testi letterari)

  

O.Guerrini- Lorenzo Stecchetti.....un Carducciano scapigliato

Letterato e poeta fra i più popolari dei"minori" del suo tempo, nacque nel 1845 vicino a Forlì da famiglia originaria di S.Alberto di Ravenna...Studiò a Ravenna e a Torino. Poi visse prevalentemente a Bologna dove si laureò in legge e in lettere ricoprendo in seguito l'incarico di bibliotecario di quell'Univerità. Mantenne sempre uno stretto collegamento con la Romagna impegnandosi anche nella politica attiva come consigliere comunale a Ravenna e a Bologna. Con lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti pubblicò nel 1877 la raccolta di liriche "Postuma", fingendoli versi di un giovane cugino morto di tisi. Il volume, che riprendeva con versi limpidi e facili alcuni temi tipici della Scapigliatura, unendo il gusto goliardico per lo scherzo a quello macabro dai toni erotici o blasfemi, fu uno dei più grandi successi dell'epoca e suscitò curiosità e interesse (anche nell'amico Carducci) e grande scandalo quando scoprì la vera identità dell'autore il quale l'anno dopo, pubblicò col proprio nome le raccolte "Polemica" e "Nova polemica" nelle quali appare il suo convinto anticlericalismo e la sua avversione verso il neo-romanticismo moralistico fino ad arrivare a virtuosismi talvolta sguaiati e irritanti come nelle rime di Argia Sbolenfi in cui la satira sull'isterismo femminile diventa spesso assai pesante e volgare. Nel 1882 scrisse il poema burlesco Giobbe, parodia polemica con- tro la retorica dei versi del poeta Mario Rapisardi, notissimo a quell'epoca e oggi del tutto dimenticato. Godevoli pagine autobiografiche si trovano nei racconti "Brani di vita" o "Brandelli", mentre restano notevoli e ancora molto popolari in Romagna i suoi sonetti Romagnoli pubblicati postumi nel 1920. Le carte, le lettere familiari e i cimeli che tuttora si conservano nella biblioteca Oriani di Ravenna, testimonierebbero a favore di un uomo tutt'altro che trasgressivo, anzi morigerato, tutto biblioteca e famiglia (fors'anche preghiera, chissa!) con la passione per la bicicletta, la fotografia, le pipe, e allora, chi era veramente questo bizzarro spirito, contraddittorio e ancor oggi ravegnanamente spassoso. Morì a Bologna nel 1916.  (Tratto da O.Guerrini di W.D.Monica:Riv.Romagna N13)

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La locandina della mostra poneva Artusi in mezzo ad altri due grandi protagonisti dell'ottocento, A.Manzoni e G.Garibaldi, artefici dell'unità d'Italia. Unità che l'Artusi volle celebrare in cucina fondendo i sapori regionali

MASTRO MARTINO "DE ARTE COQUINARIA"

......... STORIA DI UN LIBRO

Il Prof. Emilio Montorfano, grande esperto di Maestro Martino, ha tracciato una storia del libro, dal primo proprietario, "liber mei Raphaely Baldeli", fino al bibliofilo americano Ioseph Dommers Vehling che nel 1927 lo trova a Chicago e nel 1932 ne dà l'annuncio al pubblico con l'articolo "Martino and Platina: esponents of Renaissance Cookery". Il collegamento di questo testo al libro famosissimo "De honesta voluptate et valetudine" di Bartolomeo Sacchi detto il Platina, di Cremona, è stato immediato, anzi proprio in quel momento si è incominciato a rendere giustizia a Martino da Como, la cui opera, e il cui nome erano stati dimenticati. Il Platina, che lo conosceva personalemnte, che lo chiama cuoco a cui nessuno può essere paragonato, che lo dice "comense" indicandone quindi la patria, che dichiara di aver avuto da lui gran parte di quello che ha pubblicato, che ne esprime un'ammirazione affettuosa dicendo che è un parlatore affascinante, si porterà via tutto il merito di aver tramandato ai posteri le meravigliose ricette di Maestro Martino inglobate nel suo libro "De Honesta voluptate et valetudine". E così pure Giovanni Rosselli ne pubblicherà le ricette nel suo volume "Opera nova chiamata Epulario".

Maestro Martino vivrà così solo di luce riflessa, tradotto anche in francese dal canonico Desdier, prima ancora che i cuochi fiorentini di Caterina de Medici vi introducessero la loro cultura culinaria. Ritornerà agli onori della cronaca solo dopo l'annuncio della scoperta del manoscritto nel 1932 e pubblicato in Italia nel 1966 da Emilio Faccioli.

 

 

 

LA MUSICA

Il musicista dell'800 cerca di penetrare ed interpretare insieme lo spirito del popolo e di una natura che si muove e si anima con gli stessi impeti eroici delle masse, spinta quasi da una forza estranea ed ignota ad intraprendere la marcia ideale verso la grande conquista e i desideri di libertà e conquista trovano nel melodramma la più schietta espressione. Giuseppe Verdi, il più grande drammaturgo italiano, attinge i soggetti delle sue opere proprio dai fatti storici e dalle vicende reali. Suoi contemporanei furono V.Bellini, G.Rossini, G. Donizetti

L'ARTE

Dopo il 1830 circa si sviluppa con gli ideali romantici un movimento di reazione al neoclassicismo ed il motivo generatore di tale reazione è costituito dal fenomeno di libertà, di amor patrio, di rinnovamento. Di conseguenza, la forma classica del bello ideale (ch'era stata cinquant'anni prima accolta trionfalmente, ed era servita ad esaltare la grandezza napoleonica), ora viene sostituita dal culto della vita, del vero, dell'amore (il primato artistico, già venuto meno col neoclassicismo, è ora del tutto perso dall'Italia). Il Romanticismo nell'arte si sviluppa ovunque. Nella seconda metà del secolo pochi sono gli aspetti dell'arte italiana che si staccano dalla mediocrità. Nei primi decenni dell' Unità d'Italia, impegnati in complessi e gravi decenni dell'Unità d'Italia, impegnati in compessi e gravi problemi di organizzazione, nel campo dell'architettura mancano artisti ed opere valide. In scultura emerge qualche voce isolata come V.Gemito e M.Rosso, invece un apporto più positivo viene dalla pittura dei Macchiaioli toscani, Fattori, Lega, Signorini,...

 

 

GIOVANNI FATTORI

Nacque a Livorno nel 1825. Dopo un breve tirocinio con Giuseppe Baldini, nel 1846 entrò  all'Accademia di Firenze, allievo del Bezzuoli. Interruppe gli studi tra il 1848 e il 1849 per partecipare ai moti rivoluzionari. Fu incerto a lungo sulla strada da seguire, perchè, attratto dai primi esperimenti macchiaioli, studiava tuttavia gli affreschi di Filippino Lippi e del Ghirlandaio e insisteva sul quadro storico di tipo romantico, pur dipingendolo "a macchia" come nel caso della Maria Stuarda. Incoraggiato da Nino Costa, con l'esempio e con le idee, intorno al 1860 voltò il quadro di storia passata e lontana in quadro di storia vivente e vicina, dipingendo nel 1861 il famoso Campo italiano dopo la battaglia di Magenta. Da allora dipinse più volte fatti d'arme risorgimentali, specializzandosi in scene militari. Intanto si dedicava anche al ritratto, in cui fin dall'inizio aveva raggiunto eccellenti risultati, alle scene di vita familiare e a quelle di vita agreste, soprattutto maremmana (tra il 1880 e il 1895). In età avanzata rese più aspro, quasi arido, il suo stile pittorico e si dedicò all'acquaforte, compiendovi capolavori. Di pari passo accentuava nella tematica la nota socialmente polemica e dolorosa. Nel 1886 entrò come insegnante di pittura all'Accademia di Firenze. In questa città morì nel 1908.

 

Giosué Carducci ( Valdicastello 1835- Bologna 1907)

Carducci nacque a Valdicastello, frazione del Comune di Pietrasanta in Versilia, il 28 luglio 1835 dal medico Michele e da Ildegonda Celli: il padre ardente Carbonaro, aveva dovuto subire in seguito alle agitazioni del 31, prigionia e un anno di relegazione a Volterra. Giosuè dunque trascorse l'infanzia e in parte la fanciullezza nella selvaggia solitudine della Maremma. Nel 1849 potè iniziare, e condusse poi con non piccolo profitto per tre anni, studi regolari presso i padri delle scuole pie in Firenze; ammesso infine come alunno interno nella scuola normale superiore di Pisa, conseguì nel 1855 la laurea in lettere presso quella università.

Carducci nonostante la sua origine toscana, si accostò  alla terra di Romagna, ancor prima di conoscerla direttamente solo per l'amore che egli nutriva per Dante e, come il sommo poeta,  aveva fatto della Romagna la sua patria elettiva. Anche lui visitò i luoghi e le terre, conobbe i castelli, le città, i fiumi, le potenti famiglie e ne cantò "Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi". Sarebbe lungo e forse tedioso ricordare tutti gli amici e i discepoli che il poeta ebbe in Romagna; basti dire che tutti gli uomini colti nelle lettere della fine del secolo scorso e dell'inizio del nostro furono tutti Carducciani, amici ed estimatori del poeta (citiamo fra gli altri: G.Pascoli, R. Serra, A.Saffi, S.Ferrari, il Marchese A. Albicini poi deputato e come Lui Crispiano, C. Piancastelli, R. Ricci,...)

Carducci intensifica le visite in Romagna e soprattutto nel forlivese quando il fratello Valfredo è nominato preside della scuola normale di Forlimpopoli. Nel 1865 si reca a Ravenna in occasione delle celebrazioni dantesche. Della città non solo ammira i vetusti monumenti, ma si interessa anche alla loro conservazione e restauro. Il Carducci, dunque, venne in Romagna chiamato dalla fama delle sue naturali bellezze, dai ricordi di Dante, dal desiderio di luoghi che Dante ha immortalato nella sua commedia. Attirato dal ricordo del Mainardi, di Guido del Duca. Desiderò vedere Bertinoro: la visitò nella primavera del 1887 e si recò in visita a Polenta. Il comune di Bertinoro nel 1898 gli conferì la cittadinanza onoraria.

 

 

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