POESIE DEDICATE ALL'ALBERO

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ANDAR PER SELVE

"Il bosco è sempre un po' più in là del luogo in cui siamo", diceva Ortega y Gasset.

Il bosco ci attrae e ci disorienta, ci impaura. Nelle storie dei bambini si popola di orchi e mostri, ha sentieri aggrovigliati e paurosi che conducono, sì, in posti strani e misteriosi ma possono ancora approdare in nessun luogo: dice di intrico e intrighi, di devianze e deviazioni, di erranza fisica e morale, ma anche di brutti incontri e di sorprese. In esso ci si può smarrire e quando ci si addentra si è colti da un sentimento di isolamento quasi religioso. François-Auguste-René de Chateaubriand diceva:"Le foreste sono state i primi templi della divinità; dalle foreste, gli uomini hanno tratto i primi insegnamenti di architettura". Spesso nella foresta si abbandonano i bambini, lontano dai genitori, e vi vengono allevati da forze della natura, da geni e folletti benefici.

Fuggirne allora o inoltrarvisi? La nostra cultura, la nostra tradizione letteraria ha da sempre nutrito nei suoi confronti un ambivalente, complesso sentimento, fatto di sospetto e attrazione, di orrore e fascino; dal bosco dei cavalieri della Tavola Rotonda, bosco di peccato ma anche di redenzione, alla dantesca selva "selvaggia e aspra e forte" di ogni attesa e promessa di riscatto, al bosco della fuga irraggiungibile e labirintica dell'ariostesca Angelica, emblema di tutti i desideri irrealizzabili degli uomini, al bosco incantato del monte degli ulivi della tassesca Gerusalemme, fino all'intrico del barocco orto reggitano del secentista Lubrano coi cedri fantastici e spettrali.

Luogo archetipico di ogni apparizione e metamorfosi, il bosco è il regno di ogni possibilità ma anche di ogni abusivismo, raccontando con la sua incolta rudezza la storia di una proterva anarchia minerale vegetale e animale, governata solo dall'energia che cova nell'ilemorfismo del sottosuolo. Metafora della vita, immagine data agli uomini per iscrivere la propria presenza nel rapporto con la natura, oltre la vita e le contingenze della cronaca e della quotidianità, dunque, il bosco. Smarrirvisi equivale a recidere il cordone ombelicale che lega l'individuo al Tutto nell'armonico equilibrio delle parti: equivale a dire che lo spazio profanato o non convenientemente rispettato ha preso il sopravvento, ha ingoiato il suo paredro sacrilego.

"Muoiono gli alberi ma il sogno resta", avvertiva Pound pensando al nostro mondo infelice torturato da una ragione incapace di pensarsi oltre un rapporto strumentale e distruttivo con l'esistente, con ciò che vive e palpita oltre la nostra miope accidia gerarchizzante e nomenclatoria.

Nel segno dell'albero si scrive così ciò che non può essere rimosso: si scrive un'illimitata possibilità di crescita e produzione, una fertilità incolculcabile che è la vita stessa nel suo prepotente dispiegarsi, nel suo canto e nella sua luce. Canto e luce e infine parola: ecco ciò che l'albero sa dire, nel momento in cui dispiega la sua chioma al sole e ci invita a godere della sua ombra e dei suoi frutti.

Il suo infogliarsi si rivela così un getto di parole, un'armonia vegetale, un meraviglioso caleidoscopio di colori. Le sue gemme sono versi e i fiori passaggi di una retorica splendente: un discorrere abbarbicato al suolo, alla pagina del mondo, come un amante ossessivo che ripete alla sua amata il suo amore anche solo con il suo esserci, senza bisogno di parole.

"Natura, dea, di tutto genitrice, /madre capace di molti accorgimenti,/celeste, eccelsa, divina potenza,/ che crei incessantemente, signora..."

L'antico poeta orfico dinanzi a lei si estasiava nel canto, abbandonandosi ad una preghiera di cosmica commozione. Oggi, nel cumulo di macerie che ci sopraffà, alberi uomini e animali, la voce della poesia può soltanto consentirsi una disperante nostalgia.

"Fu nell'anno dell'aria inquinata/ che tu venisti al mondo per questa città/ beata senza ossigeno, colore della canapa, /venisti al mondo, bocca innamorata, / con quella tua treccina a coda di cane, /sfidando lo zolfo scompaginando /l'anidride carbonica..."

Orrende, mostruose concrezioni e formazioni, nascite e impazzimenti della materia: Emilio Isgrò, un poeta in ironico ed eroico equilibrio tra parola scritta e parola "figurata", dà sfogo con sofferta lucidità a quel misto di paura e senso di colpa che è tipico della nostra civiltà.

Nel suo canto l'allegoria disperante della fine chiede di riscattarsi e risorgere in un emblema di speranza, nonostante tutto, nonostante le pieghe ossimoriche del verso che espone immagini ed attese a violente radenze di luce.

"In me un albero oscilla /da assonnata riva,/ alata aria,/amare fronde esala". La poesia del '900 ha amato indugiare, così come fa Salvatore Quasimodo, nei suoi percorsi d'accidia e di tempesta, all'ombra di alberi compiacenti e fraterni, senza sottrarsi all'abisso dell'enigma, che pure pare affiorare da remote, recondite distanze, come un canto malioso e micidiale di sirena. L'albero, come specularità liricamente colorata, si è così di volta in volta trasformato in qualcosa ora di teneramente familiare ora anche di freddo e di estraneo, lasciando trasparire dietro la sua chioma di luce il brivido di un insondabile mistero, il sottile fragore di uno specchio infranto.

Non è senza tremore che a tale mistero si può accedere: occorre delicatezza, il rispetto e la cautela di chi sa quanto fragile sia il rapporto da istituire con i fiori e i frutti di un qualcosa che agli umani è dato come emblema, come simbolo di un'impagabile grazia, effimera e gratuita come ogni dono immeritato. "Coglierò per te /l'ultima rosa del giardino, /la rosa bianca che fiorisce/ nelle prime nebbie. /Le avide api l'hanno visitata / sino a ieri,/ ma è ancora così dolce / che fa tremare": è solo per scorsi elegiaci e sul registro della tenerezza che il fiore appare, come avviene nella poesia di Attilio Bertolucci, per far sentire la sua aristocratica fragranza per un attimo che si sogna possa essere eterno e interminabile. Ma non sempre può essere così. Altro è il compito e il senso che la poesia ha voluto anche riconoscersi, specialmente là dove ha saputo convenientemente interrogarsi sulla verticalità della pianta nel suo duplice stare tra cielo e terra, tra ascesi e inabissamento.

"Vibra nel vento con tutte le sue foglie/ il pioppo severo:/spasima l'anima in tutte le sue doglie / nell'ansia del pensiero:/ dal tronco in rami per fronde si esprime / tutte al ciel tese con raccolte cime:/ fermo rimane il tronco del mistero,/e il tronco s'inabissa ov'è più vero". C'è una tensione, nella lirica di Clemente Rebora, che incanta per la forza con cui pone l'uomo di fronte alle domande più essenziali: l'albero impone al pensiero una ricerca di senso, una interrogazione che vada oltre l'aspetto artificiale della forma delle cose per toccare la sostanza dell'insondabile mistero dell'esserci, in cui passato, presente e futuro non hanno distinzioni, proiettandosi nella vegetale / vitale armonia del creato.

Tempi immemoriali, dunque, solitudini primeve, per rammentare all'uomo il filo segreto e mai interrotto tra il suo essere e le cose e tra tutto questo e la sua Essenza e la sua Origine: l'albero,"fossile vivente" di una Creazione interminabile, sta a ricordare e ad ammonire con una forza dolce e persuasiva che la scrittura raramente può colmare. "Mi dicono Ginkgo radice,/ mi dicono pelle ippopotamo, e tagliano, annusano, vanno /per fiumi di fango, scompaiono, l'aria /a volta si arrotonda,l'ascolto dividersi in due, /mi dicono nome di seme...//pensando / senza pensare la morte, vivendo, ma qui la pianura / dolce mi tiene e non ho più paura...": ecco, nel segno di questa pianta dalle foglie flabelliformi, si descrive un'incolmabile nostalgia per un cielo brulicante di stelle, per un mondo di luce danzante, per un paesaggio popolato dalla "grazia delle ombre". Roberto Sanesi si lascia incantare da questa nostalgia, dai frammenti di un racconto sognato su cui incombe l'immagine di una terra senza l'uomo, abitata da splendenti foreste. In lui, nel suo sogno, è solo questa pianta che sopravvive raccontando la sua storia, la sua "Autobiografia", cui "basta una notte d'autunno per spingere gli occhi / verso il fruscio delle stelle", per aprire varchi fantastici, spazi di bellezza e di armonia che nessun catalogo botanico potrà disilludere.

"Hai dato il mio nome a un albero? Non è poco;/pure non mi rassegno a restar ombra, o tronco,/ di un abbandono nel subburbio. Io il tuo/ l'ho dato a un fiume, a un lungo incendio, al crudo/ gioco della mia sorte, alla fiducia/ sovrumana con cui parlasti al rospo/ uscito dalla fogna".

Il poeta del nostro tempo sa, con Eugenio Montale, quanto sia importante la sua comunione con le cose, il suo intrinseco sentirsi fibra d'un universo vario e molteplice, regno di un'indescrivibile differenza. Identificarsi con le cose le più vive e forti, avvertirsi come parte necessaria ancorché minima di un fluire degli elementi, acqua aria terra e fuoco, in dialogo con gli esseri anche più infimi: è questo il messaggio che il poeta ci comunica? è questo che la cicatrice sulla scorza dell'albero può dirci con l'araldica sua evidenza di tatuaggio d'amore e insieme di ostinata attestazione di presenza, di incisiva (e incisa) volontà di nominazione?

Vincenzo Guarracino

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(epitaffio all'albero)

Giardini sofferti di reliquie, are

occulte dell'anima:

non trovo piu'

alla fervida odissea delle radici

linfa e destino

essiccata nelle fibre la mia vita

e' un frutto guasto

pensiero secreto che si fa grumo

stesso con tosco

Vincenzo Guarracino

POETI E POESIE PUBBLICATE

LUCIO PISANI EMANUELA ANZANI ALESSANDRO QUATTRONE OMERO
DANTE LIBERO DE LIBERO A.ONOFRI LI-PO
GIUSEPPE UNGARETTI RAFAEL ALBERTI G.DANNUNZIO PUBL.VIRG.MARONE
DARIO TALLO STEFANO ANZANI GIULIANO BERETTA ELENA BIANCHI
MIMMO CERVELLINO VITTORIO CESANA GIANFRANCOGIUDICE ANDREA COMALINI
FILIPPO FALBO MAURO FOGLIARESI STEFANO GUASTALLI GIORGIO LAROCCHI
GIOVANNI LISCHIO ANGELO MAUGERI N. ORSINI DE MARZO SANDRO PARNIGONI
A.CHIARA PEDUZZI RITA PELLEGRINI ANTONIO BONAVITA GIOV.SANCRISTOFORO
MARIANGELA CAPUTO LUIGI VIGANO' EMILIO RUSSO LUIGI PICCHI
FABRIZIO ALFANO STEFANO FEDELI    

Sotto la scure il disilluso ramo

cadendo si lamenta appena, meno

che non la foglia al tocco della brezza...

E fu la furia che abbattè la tenera

forma e la premurosa

carità d'una voce mi consuma...

Giuseppe Ungaretti

 

...tronchi

sono inginocchiati

nell'intrico della pioggia,

e al cielo intrecciano rami,

senza dolcezza

e senza preghiera.

DarioTallo

 

 

Han sradicato un albero. Ancora stamani

il vento, il sole, gli uccelli

l'accarezzavano benignamente. Era

felice e giovane, candido ed eretto,

con una chiara vocazione di cielo,

e un alto futuro di stelle.

Stasera giace come un bimbo

esiliato dalla sua culla, spezzate

le tenere gambe, affondato

il capo, sparso in terra e triste,

disfatto in foglie

e in pianto ancora verde, in pianto.

Questa notte uscirò- quando nessuno

potrà vedermi, quando sarò solo-

a chiudergli gli occhi, ed a cantargli

quella canzone che stamani il vento

passando sussurrava.

Rafael Alberti

La natura è un tempio ove pilastri viventi

lasciano sfuggire a tratti confuse parole;

l'uomo vi attraversa foreste di simboli,

che l'osservano con sguardi familiari.

C.Baudelaire

omero

Come stirpi di foglie, così le stirpi di uomini, le foglie, alcune ne getta il vento a terra,

oltre la selva fiorente le nutre al tempo la primavera; così le stirpi degli uomini: nasce una l'altra dilegua"

(l'Iliade VI-146-149)

publio virgilio marone

"Titiro, tu sdraiato al riparo di un grande faggio

moduli una canzone boschereccia sulla umile zampogna;

noi abbandoniamo i territori della patria e i dolci campi,

noi fuggiamo dalla patria;

tu Titito, placido all'ombra

fai risuonare i boschi del nome della bella Amarilli.."

(da Egloga)

li-po

"salici fitti come verde nebbia

sotto la pioggia: ma gli uccelli cantano..

Pende sopra la pergola la luna.

Tra le foglie dei gelsi i bachi dormono.

Passeggia sopra

una foglia di loto con un lieve

crepitio una tartaruga"

(da Ballate)

 

 

Giuseppe Ungaretti

Non odi del platano,

foglia non odi ad un tratto scricchiolare

che cade lungo il fiume sulle selci?

Il mio declino abbellirò, stasera;

a foglie secche si vedrà congiunto

un bagliore rosso

 

 

Rafael Alberti

Han sradicato un albero. Ancora stamani

il vento, il sole, gli uccelli

l'accarezzavano benignamente. Era

felice e giovane, candido ed eretto,

con una chiara vocazione di cielo,

e un alto futuro di stelle.

Stasera giace come un bimbo

esiliato dalla sua culla, spezzate

le tenere gambe, affondato

il capo, sparso in terra e triste,

disfatto in foglie

e in pianto ancora verde, in pianto.

Questa notte uscirò- quando nessuno

potrà vedermi, quando sarò solo-

a chiudergli gli occhi, ed a cantargli

quella canzone che stamani il vento passando sussurrava.

 

 

Libero de Libero

Amore, albero grande.

Silenzio per me che dico

alla notte: il suo nome,

beva l'acqua questa mia sete

e la copra una caduta di foglie.

Pietà per me che nascondo

alla gente il suo volto,

all'immobile pietra ora somiglia,

chiunque può vedere il suo cuore.

Amore, albero grande

per un corpo dolente,

ascolta il consiglio d'essere

cenere dopo la brace.

c.baudelaire

La natura è un tempio ove pilastri viventi

lasciano sfuggire a tratti confuse parole;

l'uomo vi attraversa foreste di simboli,

che l'osservano con sguardi familiari

gabriele d'annunzio

Aneliti brevi di foglie

sospiri di fiori dal bosco

esalano al mare: non canto non grido

non suono pe'l vasto silenzio va

a.onofri

La cascata autunnale delle foglie

gialle, è il ricordo dell'estate spento

nell'oro stesso, dove si raccoglie

l'albero in un arresto sonnolento.

ALBERI

Gli alberi

sono le statue

del tramonto.

Nascondono

covi d'ombra fiorita

Scavati

nella roccia

spoglia.

Gli alberi

sono le statue

del tramonto.

Sole dei rami,

linfa di pietra.

Stefano Anzani

 

SI ARRAMPICA IL BIANCO

Le foglie appese

muovono i pensieri sui lividi dei prati

Sono troppi i riflessi di paglia

I fiori

in fine velluto

stringono la vita alle api

Gli occhi cercano la sete

sulla gola dei sassi

Si arrampica il bianco sulle betulle

per vestire il senso della pelle

dove il nudo di una sera

mi ha fatto felice.

Giuliano Beretta

 

COME ALBERI D'AUTUNNO

Come alberi d'autunno

le sensazioni.

Contorni

sfocati

hanno le immagini.

Il ricordo

è ormai

nostalgia.

Elena Bianchi

 

 

IL VECCHIO PIOPPO IN FIOCCHI

Oh che scoppia

il vecchio pioppo

in fiocchi di neve

in nevischio fino

di lanacchio leggero

di cotone sottile.

E che sottile fuoco

vederti alla penombra

del salice sopra la peschiera

polsi di pietra marmora

facciuzza di seta mia

mentre il vento

allenta apre fa tremolare

la tua camicia di lino.

Mimmo Cervellino

 

DAL TRONCO ALLE RADICI

Dal tronco alle radici

dalle radici ai rami

e tra le foglie

è una farfalla l'albero

in questo azzurro cielo

velato dalle nebbie

del luminoso ottobre

Dal tronco alle radici

dalle radici ai rami

e tra le brine

è una farfalla l'albero

in questo azzurro cielo

in questo sole sterile

in questo terminale ammonimento

di gennaio

Vittorio Cesana

 

MI RICORDO IL BOSCO D'AUTUNNO

Mi ricordo il bosco d'autunno

lì avevo catapultato la vita

le speranze, la morte...

Ora è storia, lontana

frammenti di vetro

Spigoli nel cuore.

Non avevo pensato,

non avevano voluto.

E' accaduto!

un lontano richiamo

una voce nuova ha chiamato

Gianfranco Giudice

 

 

JE SUIS RESTE' SEUL DANS LE BOIS

Je suis resté seul dans le bois

j'ai vu les arbres dépouillés

j'ai vu les feuilles tomber

mon coeur se baignait dans la foi

j'ai vu la douleur de la terre

dans les feuilles qui flottaient dans l'air

mon regard ne touchait que beauté

mais mes veines étaient enterrées.

Là où on peut entendre le vent siffler

mon coeur était oublié

là dans le bois, près d'une rivière

où les arbres chantent cette cantilène

mes mains sanglantes effleuraient la terre.

Je suis resté seul dans le bois

j'ai écouté la pluie pleurer

j'ai vu les oiseaux chanter

c'est là où peut entendre le vent siffler

que je me suis laissé tomber.

Les yeux renversés au ciel

l'herbe caressait mes prières

c'est là que je veux mourir

où le ciel baigne la mer.

Andrea Comalini

 

IL FAGGIO

 

E' in poco raggio rutilar di rame

al vespro azzurro di novembre il faggio;

monetine leggere, gialle lame,

fenditure di mosto, presepiali

incavi verdi. Qualcheduna cade

senz'aspettare il vento né la sera,

senza ragione o altro accadimento

che la propria natura; spera lieve

tra l'altre gira per la sua sciagura

che partì da picciòlo chiaro e molle

al primo sole appena oltre la neve.

 

Filippo Falbo

 

VALZER D'AUTUNNO

Da piante

ormai

spoglie

danzando

nel vento

le foglie:

han

sedotto

altre

foglie.

Mauro Fogliaresi

 

PANTHEA

Variopinto come giardino in fiore

è il mondo vagheggiato dal poeta.

Là dove scarlatte rose splendono

come astri sul purpureo crepuscolo.

I dorati crochi sono diadema per il lauro,

mentre l'impetuoso rampicante avvolge

in un vigoroso abbraccio la riluttante azalea,

come un ardito amante la timida compagna.

Dolce mi appare il sogno della vita,

sebbene tutto ciò non mi appartenga...

E tornerà la diafana neve, seppellendo

ogni colore, come grigia pietra tombale.

Ma come il seme germina nel terreno,

così l'Amore sopravvive alla delusione,

l'ispirazione riemerge nell'Artista:

tutto ciò che ha vissuto deve rinascere.

Variopinto come giardino in fiore

è il mondo vagheggiato dal Poeta.

Dolce mi appare il sogno della vita,

sebbene tutto ciò non mi appartenga.

Stefano Guastalli

 

SOLO ALBERI IMMOBILI

Come uno stormo d'uccelli stanchi

che hanno smarrito il percorso,

lampi e ombre s'intrecciano, tracciano

inusitate vie, senza arrestarsi. Invade

la notte pianure ancira rosa: ci lascia

di nuovo la luce. Silenzio.

Non sentiamo scorrere acque, scorrere parole. Solo

alberi immobili, secchi, ancora, ancora,

fermi, quasi di ferro, uccelli senza canto,

foglie accartocciate ci stringono

alle spalle sollevano. E noi

dentro loro non visti. Un fremito di vento

si muove e siamo vivi, ancora, ondeggiano

fra annerite erbe. Flebile

è la voce che chiama dal fosso e disturba.

 

Giorgio Larocchi

 

SPETTACOLO MINORE

Ogni mattina osserva la natura:

il volo di un gabbiano che cattura

un pesce a fior dell'acqua e poi avanza

leggero in aria come in una danza;

l'accorrere di un cane, che ne vede

l'ombra mobile, lungo il marciapiede;

l'uccello che si posa sopra un ramo

e comincia a lanciare il suo richiamo

canoro; la lucertola che appare

furtiva sul sentiero e poi scompare;

il fremito dell'albero investito

da un vento lieve; il prato rinverdito

pieno di corvi che accorrono in frotta,

gracidanti e perennemente in lotta

per il cibo;le nuvole che in alto

s'inseguono leggere nel risalto

dell'ora mattutina; infine il gatto

bianco che si allontana quatto quatto.

Contempla la natura con stupore

in questo suo spettacolo minore,

-di cose marginali e quasi rare-

che pochi sanno cogliere e apprezzare.

 

Giovanni Lischio

 

INTORNO ALL'ALBERO

 

Intorno all'albero cresce il giardino

si perde come allora, a vista d'occhio,

in un palcoscenico vuoto.

 

Per un momento, fuori, non uno

ma due arcobaleni,

protesi dall'erba- e un ragazzo

cresceva, un altro no.

 

Angelo Maugeri

 

E DALLA MACCHIA VIENE

 

E dalla macchia viene e per le dune

si perde lontanando sulla spiaggia

se brezza spira fatta aulente

il rosmarino

 

E vede sempreverde molte lune

divenire, e al sole che lo irraggia

l'alloro si disfronda e il cipresso

si fa opimo.

 

Niccolò Orsini DeMarzo

C'E' UN ALBERO

C'è un albero di fronte

alla finestra del mio studiolo

io sono innamorato di questo

albero, quando guardo fuori

lo vedo sempre in ogni stagione

 

quando mi guardo dentro

lo ritrovo ramificato

su per i rami della mia

dolce pazzia, quando mi scordo

lui si ricorda di me, si muove

fa partire un merlo dalla

cima della sua fronda

fa cadere una foglia

 

allora mi sovviene della

sua presenza, della

mia irriverenza che sale

imperterrita dal fondo dell'anima.

Sandro Parnigoni

 

COME FOGLIE D'ALLORO LANCEOLATE

 

In crescendo sull'orlo di ora

dalle nebbie sospesa

l'attenzione

ascolta

il canto rauco del lago saturnino

e lascia che dilati il viso

e la noia

che fosca si arriccia in scontento.

L'usura vieta inteneriti rimedi

ci assegna a domande

come foglie d'alloro lanceolate

il becco dei passeri picchia a lungo

invano si curvano senza ferirsi.

 

Anna Chiara Peduzzi

 

L'OLEANDRO

 

Senso di mistero,

brivido tremendo della vita:

dondola dentro il vento l'oleandro

nel fitto di una notte

senza luna.

 

Fantasmi alle mie spalle.

Fantasmi dentro al vuoto

che mi sta dinnanzi

 

Mi devo allontanare

in fretta.

 

Finestra vertiginosa

con vista sulla morte.

 

Rita Pellegrini

 

 

 IMPRESSIONE

Ti sento insieme onnipotente e inerme

come l'immenso faggio che in giardino

violentato dalla tramontana

graffia e schiaffeggia il cielo di novembre

mentre lo spazio che d'estate inombra

è un turbinio vivissimo di attese.

 

Antonio Bonavita

 

 

MOLLEZZE DI PETALI

 

Mollezze di petali ancora

per uno sguardo fatto alla luna.

Per non dirle il fiore di loto

per tacerle i colori dell'acacia

nel mattino svegliato di sorrisi.

 

Come raccontare la terra d'intrecci,

come dire il dondolante

calore della sua lingua.

 

Dove il cratere sgorga di viole

nell'incespicare del piede incerto

al passo / inteso al suo tremore.

 

Carezza di nomi ancora

nello sguardo danzante

che interroga il piede.

 

Ma dove ti ho perduto, ombra

di primavera, nel tuo schiamazzo dorato

se non in uno sgarbo

fatto per gioco alla luna di marzo.

 

Giovanna Sancristoforo

IL BERGAMOTTO

Tra gli ovali delle tue

foglie

Dedalo di vie

di una città

l'insidia del pescatore

il detto del sentenziatore

c'è il numero regolatore.

 

Plurime entrate

di matematica parola

ma tonda chioma il tuo

rivestimento.

 

La tua raccolta d'inverno

raccoglie fatica nei campi

fra i geli di rigide radici,

latitudine bassa non è garanzia.

 

A tutti chiedi l'atto di fede:

la dissonanza e l'eccezione degli acri frutti

non servi nei banchetti.

 

Come bergamotto

umile e senza gran voce di te

maturazione tarda, d'inverno

divieni essenza di profumi

di lavande sostanza

anelo io

con infinita lentezza

a compimento odoroso

ad essenziale soluzione.

 

Mariangela Caputo

 

"UN COROLLARIO ANCORA PER GRAZIA"

(*Dante,Purg.29.136)

Il sambuco che odora selvaggio

i sentieri di Parzano,

i massi erratici

abbandonati dalla fredda piena

dei ghiacciai in catastrofica

colata

dal Disgrazia e dalla valle del Màllero

illuminano

i silenzi mattuttini.

Pensa il verde ruscellante

tra gli amareni

selvatici

senza il grido amaro degli umani,

l'assoluta

pace dell'angelo assente

(o sterminatore).

Ironici i tuoi occhi vibrano:

sarebbe il nulla

nello spazio

assiderato

della morena.

Ti tinge di brezza

essere sopravvissuta misura

dei silenzi, germe,

"visiting angel" della speranza.

 

Luigi Viganò

 

 

AMO LA MAGNOLIA

 

Le riservo talvolta uno sguardo

soltanto distratto,

la sfioro

mentre scendo di corsa i gradini.

A volte, pero',

mi soffermo

a guardarne

curioso

i boccioli:

ne studio il colore,

misuro se sono

stamane

più grossi di ieri.

Mentre le piante

d'intorno

lasciano a terra

le foglie,

e noi

sospesi,

che non sappiamo se ancora

spunteranno dei fiori,

tra i suoi rami

che resteranno verdi

già vedo

nascosta,

rinchiusa,

trattenuta,

la vita che è pronta a tornare

non appena,

in un marzo che non può non venire

scorgerà il primo raggio di sole.

 

Emilio Russo

 

ALBERI

 

Disegnano cieli i rami,

gli alberi, questa voce

continua di terra segreta

e del vento il più sottile

pensiero indovinano. Parole

foglie e labbra, carezze,

mani facili a chiudersi

assetate. Poi ancora terra.

 

Luigi Picchi

 

 

IO TI HO CRESCIUTO FIGLIO

 

Io ti ho cresciuto figlio,

un albero nel vento

ed ora voli con le foglie verdi

lasciando al tronco soli rami spenti.

Ti hanno rubato gli occhi le vetrine

e i suoni d'una musica sirena

mentre la vita con le sue lusinghe

ti adesca, mi allontana.

Io ti ho cresciuto, figlio,

nelle sere di favole e l'incanto

era soltanto bolla di sapone

che con un soffio ti legasse al cielo

e a me, che resto padre ad aspettarti,

all'attesa mischiando del ritorno,

la speranza d'un giorno che mi porti,

non come un'eco

l'ieri nei pensieri.

 

Lucio Pisani

BOSCHI

 

Che bisogno di perdono, di pietà,

d'ilarità e di suono,

sulla strada che leggera passa

per il bosco prossimo al delirio.

Eppure è festa, festa d'aria

e di memoria, e tutto pare

più puro attraverso le parole.

Ma che paura adesso

delle parole pure.

Boschi d'autunno,

ilari di breve virtù

e di più breve potenza,

voi mi create, qui e ora,

mi risvegliate e poi

mi donate lo spirito.

Ed io, vento ingiurioso,

percuoto il vostro autunno

con spietata ammirazione,

con un soffio

che non so dirigere né annullare

 

Alessandro Quattrone

 

 

ARDE NEL BRACIERE IL LEGNO

 

Arde nel braciere il legno

colla veste di corteccia,

e stempera la vita

fermata dall'ascia.

Solchi raccontano l'anonima

storia d'un pioppo sconosciuto,

e sulla fronte rughe profonde.

Non è legna a bruciare,

non è legna a riscaldare,

ma d'amici perduti

il tepore dell'alito.

Non più tali,(inghiottiti

dal buio passato),

se non nel ricordo.

Ricordi caldi di soli d'estati

giocate sino all'imbrunire;

improvvisi tatuaggi ricomparsi

un eterno istante.

Non ho scordato, amici

cari, e se non ricordo i nomi,

se non ricordo i visi,

non vi ho scordato, cari amici.

Bruciaste per me, come

la vita dell'anonimo pioppo,

ed io per voi, quando

salii sul Golgota,

la croce in spalla,

sfidando non Dio,

ma ottuse convenzioni,

insegnandovi qualcosa

che credevo importante.

 

Fabrizio Alfano

IL GIARDINO DELL'EDEN

 

Ansimano le spire

fra le fronde del giardino

mela rossa a tarda sera

come un morso

dal veleno di serpente

muore e cade.

Più non odo la tua linfa

nè la carne ha il tuo sapore, Dio severo

più non tremo (e già non sono)

se la sete si fa scure

la vergogna cinge i fianchi nella notte.

 

Brùlicano nell'ombra

le papille del mio danno

originale inganno

d'immutabile virtù.

Sale

da tomba vuota il grido

lampo guizzo in un sorriso

dalle schiere del custode

srotolato

come il masso

più non copre la sorgente

della luce ma risplende

(In)visibile presenza.

 

Ora è pane il terzo giorno

che riveste bianche vesti

il corpo nudo

e muto

resta il morso

a quell'antico frutto appeso

è cosa acerba

 

Emanuela Anzani

 

 

EL PIN

Nassuu in la teppa,

'na brancada de teppa

su on sasson

grand e gross

'me 'na cà.

 

Te se ninnavet

al vent, content

de vess al mond.

Per tì,

on pugn de terra

e la rosada:

ramm secch,

magher 'me stecch,

destin segnaa...

Ma i radis

hinn spontaa da la teppa,

s'hinn slongaa sora al sass

e hinn andaa giò a bass

a cercà terra bona.

 

Te seret tutt patii

dopo trii ann

de fadigh e salass

ma tì,

t'hee ingabbiaa dent

quel sass

con tutt i tò radis,

t'hee scorlii el coo,

t'hee tiraa sù i barbis.

Adess sul doss,

in mezz ai alter pin

te see lì grand e gross

in scima al tò sasson,

te giughet cont el vent

semper pussee content

de vess al mond.

 

Ma quanta gent

la se lassa andà

a creppà

puttost che lottà

per schivà

'na quaj sleppa...

 

Lor,

ch'eren nassuu

in del bombas,

minga in la teppa.

 

LA ROGORA

O mocc,

on mocc traa là

in mezz al bosch.

On fil

d'erba secca,

on alter anmò

e mò

ona foeuja...dò...

trè...se cunten pu.

Ona lusnada,

l'è 'na sceppada

de nisciolann

che la s'cioppetta

frispol de foeugh.

Altr'erba,

alter foeuj se pizzen;

el se desseda el bosch

in de st'alba de foeugh.

 

No...la rogora no!

Cent ann...

Lì apos

ona lenguascia

cont el sò calor

la gira intorna

e la inciocchiss

e la inorbiss

e la ghe parla

pian pian sott vos,

poeu la fa dent,

la brascia sù...

come on serpent

a tradiment.

 

Sberlusissen i foeuj,

torc a vent,

brasc avert contra el ciel.

Ona balla de foeugh

per cantà la soa gloria,

la soa storia.

 

'Na spianada de scendra...

e fuston de carisna...

L'era on bosch.

 

Su la rogora,

gh'era on coeur

e duu nomm.

 

Stefano Fedeli

 

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