"Il bosco è sempre un po' più in là del luogo in cui siamo", diceva Ortega y Gasset.
Il bosco ci attrae e ci disorienta, ci impaura. Nelle storie dei bambini si popola di orchi e mostri, ha sentieri aggrovigliati e paurosi che conducono, sì, in posti strani e misteriosi ma possono ancora approdare in nessun luogo: dice di intrico e intrighi, di devianze e deviazioni, di erranza fisica e morale, ma anche di brutti incontri e di sorprese. In esso ci si può smarrire e quando ci si addentra si è colti da un sentimento di isolamento quasi religioso. François-Auguste-René de Chateaubriand diceva:"Le foreste sono state i primi templi della divinità; dalle foreste, gli uomini hanno tratto i primi insegnamenti di architettura". Spesso nella foresta si abbandonano i bambini, lontano dai genitori, e vi vengono allevati da forze della natura, da geni e folletti benefici.
Fuggirne allora o inoltrarvisi? La nostra cultura, la nostra tradizione letteraria ha da sempre nutrito nei suoi confronti un ambivalente, complesso sentimento, fatto di sospetto e attrazione, di orrore e fascino; dal bosco dei cavalieri della Tavola Rotonda, bosco di peccato ma anche di redenzione, alla dantesca selva "selvaggia e aspra e forte" di ogni attesa e promessa di riscatto, al bosco della fuga irraggiungibile e labirintica dell'ariostesca Angelica, emblema di tutti i desideri irrealizzabili degli uomini, al bosco incantato del monte degli ulivi della tassesca Gerusalemme, fino all'intrico del barocco orto reggitano del secentista Lubrano coi cedri fantastici e spettrali.
Luogo archetipico di ogni apparizione e metamorfosi, il bosco è il regno di ogni possibilità ma anche di ogni abusivismo, raccontando con la sua incolta rudezza la storia di una proterva anarchia minerale vegetale e animale, governata solo dall'energia che cova nell'ilemorfismo del sottosuolo. Metafora della vita, immagine data agli uomini per iscrivere la propria presenza nel rapporto con la natura, oltre la vita e le contingenze della cronaca e della quotidianità, dunque, il bosco. Smarrirvisi equivale a recidere il cordone ombelicale che lega l'individuo al Tutto nell'armonico equilibrio delle parti: equivale a dire che lo spazio profanato o non convenientemente rispettato ha preso il sopravvento, ha ingoiato il suo paredro sacrilego.
"Muoiono gli alberi ma il sogno resta", avvertiva Pound pensando al nostro mondo infelice torturato da una ragione incapace di pensarsi oltre un rapporto strumentale e distruttivo con l'esistente, con ciò che vive e palpita oltre la nostra miope accidia gerarchizzante e nomenclatoria.
Nel segno dell'albero si scrive così ciò che non può essere rimosso: si scrive un'illimitata possibilità di crescita e produzione, una fertilità incolculcabile che è la vita stessa nel suo prepotente dispiegarsi, nel suo canto e nella sua luce. Canto e luce e infine parola: ecco ciò che l'albero sa dire, nel momento in cui dispiega la sua chioma al sole e ci invita a godere della sua ombra e dei suoi frutti.
Il suo infogliarsi si rivela così un getto di parole, un'armonia vegetale, un meraviglioso caleidoscopio di colori. Le sue gemme sono versi e i fiori passaggi di una retorica splendente: un discorrere abbarbicato al suolo, alla pagina del mondo, come un amante ossessivo che ripete alla sua amata il suo amore anche solo con il suo esserci, senza bisogno di parole.
"Natura, dea, di tutto genitrice, /madre capace di molti accorgimenti,/celeste, eccelsa, divina potenza,/ che crei incessantemente, signora..."
L'antico poeta orfico dinanzi a lei si estasiava nel canto, abbandonandosi ad una preghiera di cosmica commozione. Oggi, nel cumulo di macerie che ci sopraffà, alberi uomini e animali, la voce della poesia può soltanto consentirsi una disperante nostalgia.
"Fu nell'anno dell'aria inquinata/ che tu venisti al mondo per questa città/ beata senza ossigeno, colore della canapa, /venisti al mondo, bocca innamorata, / con quella tua treccina a coda di cane, /sfidando lo zolfo scompaginando /l'anidride carbonica..."
Orrende, mostruose concrezioni e formazioni, nascite e impazzimenti della materia: Emilio Isgrò, un poeta in ironico ed eroico equilibrio tra parola scritta e parola "figurata", dà sfogo con sofferta lucidità a quel misto di paura e senso di colpa che è tipico della nostra civiltà.
Nel suo canto l'allegoria disperante della fine chiede di riscattarsi e risorgere in un emblema di speranza, nonostante tutto, nonostante le pieghe ossimoriche del verso che espone immagini ed attese a violente radenze di luce.
"In me un albero oscilla /da assonnata riva,/ alata aria,/amare fronde esala". La poesia del '900 ha amato indugiare, così come fa Salvatore Quasimodo, nei suoi percorsi d'accidia e di tempesta, all'ombra di alberi compiacenti e fraterni, senza sottrarsi all'abisso dell'enigma, che pure pare affiorare da remote, recondite distanze, come un canto malioso e micidiale di sirena. L'albero, come specularità liricamente colorata, si è così di volta in volta trasformato in qualcosa ora di teneramente familiare ora anche di freddo e di estraneo, lasciando trasparire dietro la sua chioma di luce il brivido di un insondabile mistero, il sottile fragore di uno specchio infranto.
Non è senza tremore che a tale mistero si può accedere: occorre delicatezza, il rispetto e la cautela di chi sa quanto fragile sia il rapporto da istituire con i fiori e i frutti di un qualcosa che agli umani è dato come emblema, come simbolo di un'impagabile grazia, effimera e gratuita come ogni dono immeritato. "Coglierò per te /l'ultima rosa del giardino, /la rosa bianca che fiorisce/ nelle prime nebbie. /Le avide api l'hanno visitata / sino a ieri,/ ma è ancora così dolce / che fa tremare": è solo per scorsi elegiaci e sul registro della tenerezza che il fiore appare, come avviene nella poesia di Attilio Bertolucci, per far sentire la sua aristocratica fragranza per un attimo che si sogna possa essere eterno e interminabile. Ma non sempre può essere così. Altro è il compito e il senso che la poesia ha voluto anche riconoscersi, specialmente là dove ha saputo convenientemente interrogarsi sulla verticalità della pianta nel suo duplice stare tra cielo e terra, tra ascesi e inabissamento.
"Vibra nel vento con tutte le sue foglie/ il pioppo severo:/spasima l'anima in tutte le sue doglie / nell'ansia del pensiero:/ dal tronco in rami per fronde si esprime / tutte al ciel tese con raccolte cime:/ fermo rimane il tronco del mistero,/e il tronco s'inabissa ov'è più vero". C'è una tensione, nella lirica di Clemente Rebora, che incanta per la forza con cui pone l'uomo di fronte alle domande più essenziali: l'albero impone al pensiero una ricerca di senso, una interrogazione che vada oltre l'aspetto artificiale della forma delle cose per toccare la sostanza dell'insondabile mistero dell'esserci, in cui passato, presente e futuro non hanno distinzioni, proiettandosi nella vegetale / vitale armonia del creato.
Tempi immemoriali, dunque, solitudini primeve, per rammentare all'uomo il filo segreto e mai interrotto tra il suo essere e le cose e tra tutto questo e la sua Essenza e la sua Origine: l'albero,"fossile vivente" di una Creazione interminabile, sta a ricordare e ad ammonire con una forza dolce e persuasiva che la scrittura raramente può colmare. "Mi dicono Ginkgo radice,/ mi dicono pelle ippopotamo, e tagliano, annusano, vanno /per fiumi di fango, scompaiono, l'aria /a volta si arrotonda,l'ascolto dividersi in due, /mi dicono nome di seme...//pensando / senza pensare la morte, vivendo, ma qui la pianura / dolce mi tiene e non ho più paura...": ecco, nel segno di questa pianta dalle foglie flabelliformi, si descrive un'incolmabile nostalgia per un cielo brulicante di stelle, per un mondo di luce danzante, per un paesaggio popolato dalla "grazia delle ombre". Roberto Sanesi si lascia incantare da questa nostalgia, dai frammenti di un racconto sognato su cui incombe l'immagine di una terra senza l'uomo, abitata da splendenti foreste. In lui, nel suo sogno, è solo questa pianta che sopravvive raccontando la sua storia, la sua "Autobiografia", cui "basta una notte d'autunno per spingere gli occhi / verso il fruscio delle stelle", per aprire varchi fantastici, spazi di bellezza e di armonia che nessun catalogo botanico potrà disilludere.
"Hai dato il mio nome a un albero? Non è poco;/pure non mi rassegno a restar ombra, o tronco,/ di un abbandono nel subburbio. Io il tuo/ l'ho dato a un fiume, a un lungo incendio, al crudo/ gioco della mia sorte, alla fiducia/ sovrumana con cui parlasti al rospo/ uscito dalla fogna".
Il poeta del nostro tempo sa, con Eugenio Montale, quanto sia importante la sua comunione con le cose, il suo intrinseco sentirsi fibra d'un universo vario e molteplice, regno di un'indescrivibile differenza. Identificarsi con le cose le più vive e forti, avvertirsi come parte necessaria ancorché minima di un fluire degli elementi, acqua aria terra e fuoco, in dialogo con gli esseri anche più infimi: è questo il messaggio che il poeta ci comunica? è questo che la cicatrice sulla scorza dell'albero può dirci con l'araldica sua evidenza di tatuaggio d'amore e insieme di ostinata attestazione di presenza, di incisiva (e incisa) volontà di nominazione?
Vincenzo Guarracino TORNA A HOME PAGE ____________________________
Giardini sofferti di reliquie, are
occulte dell'anima:
non trovo piu'
alla fervida odissea delle radici
linfa e destino
essiccata nelle fibre la mia vita
e' un frutto guasto
pensiero secreto che si fa grumo
stesso con tosco
Vincenzo Guarracino
POETI E POESIE PUBBLICATE |
|||
LUCIO PISANI | EMANUELA ANZANI | ALESSANDRO QUATTRONE | OMERO |
DANTE | LIBERO DE LIBERO | A.ONOFRI | LI-PO |
GIUSEPPE UNGARETTI | RAFAEL ALBERTI | G.DANNUNZIO | PUBL.VIRG.MARONE |
DARIO TALLO | STEFANO ANZANI | GIULIANO BERETTA | ELENA BIANCHI |
MIMMO CERVELLINO | VITTORIO CESANA | GIANFRANCOGIUDICE | ANDREA COMALINI |
FILIPPO FALBO | MAURO FOGLIARESI | STEFANO GUASTALLI | GIORGIO LAROCCHI |
GIOVANNI LISCHIO | ANGELO MAUGERI | N. ORSINI DE MARZO | SANDRO PARNIGONI |
A.CHIARA PEDUZZI | RITA PELLEGRINI | ANTONIO BONAVITA | GIOV.SANCRISTOFORO |
MARIANGELA CAPUTO | LUIGI VIGANO' | EMILIO RUSSO | LUIGI PICCHI |
FABRIZIO ALFANO | STEFANO FEDELI |
Sotto la scure il disilluso ramo
cadendo si lamenta appena, meno
che non la foglia al tocco della brezza...
E fu la furia che abbattè la tenera
forma e la premurosa
carità d'una voce mi consuma...
Giuseppe Ungaretti
Han sradicato un albero. Ancora stamani il vento, il sole, gli uccelli l'accarezzavano benignamente. Era felice e giovane, candido ed eretto, con una chiara vocazione di cielo, e un alto futuro di stelle. Stasera giace come un bimbo esiliato dalla sua culla, spezzate le tenere gambe, affondato il capo, sparso in terra e triste, disfatto in foglie e in pianto ancora verde, in pianto. Questa notte uscirò- quando nessuno potrà vedermi, quando sarò solo- a chiudergli gli occhi, ed a cantargli quella canzone che stamani il vento passando sussurrava. |
Rafael Alberti
La natura è un
tempio ove pilastri viventi
lasciano sfuggire a tratti confuse parole; l'uomo vi attraversa foreste di simboli, che l'osservano con sguardi familiari. C.Baudelaire |
omero
Come stirpi di foglie, così le stirpi di uomini, le foglie, alcune ne getta il vento a terra, oltre la selva fiorente le nutre al tempo la primavera; così le stirpi degli uomini: nasce una l'altra dilegua" (l'Iliade VI-146-149) |
publio virgilio marone
"Titiro, tu sdraiato al riparo di un grande faggio moduli una canzone boschereccia sulla umile zampogna; noi abbandoniamo i territori della patria e i dolci campi, noi fuggiamo dalla patria; tu Titito, placido all'ombra fai risuonare i boschi del nome della bella Amarilli.." (da Egloga) |
li-po
"salici fitti come verde nebbia sotto la pioggia: ma gli uccelli cantano.. Pende sopra la pergola la luna. Tra le foglie dei gelsi i bachi dormono. Passeggia sopra una foglia di loto con un lieve crepitio una tartaruga" (da Ballate) |
Giuseppe Ungaretti Non odi del platano, foglia non odi ad un tratto scricchiolare che cade lungo il fiume sulle selci? Il mio declino abbellirò, stasera; a foglie secche si vedrà congiunto un bagliore rosso |
Rafael Alberti Han sradicato un albero. Ancora stamani il vento, il sole, gli uccelli l'accarezzavano benignamente. Era felice e giovane, candido ed eretto, con una chiara vocazione di cielo, e un alto futuro di stelle. Stasera giace come un bimbo esiliato dalla sua culla, spezzate le tenere gambe, affondato il capo, sparso in terra e triste, disfatto in foglie e in pianto ancora verde, in pianto. Questa notte uscirò- quando nessuno potrà vedermi, quando sarò solo- a chiudergli gli occhi, ed a cantargli quella canzone che stamani il vento passando sussurrava. |
Libero de Libero Amore, albero grande. Silenzio per me che dico alla notte: il suo nome, beva l'acqua questa mia sete e la copra una caduta di foglie. Pietà per me che nascondo alla gente il suo volto, all'immobile pietra ora somiglia, chiunque può vedere il suo cuore. Amore, albero grande per un corpo dolente, ascolta il consiglio d'essere cenere dopo la brace. |
c.baudelaire
La natura è un tempio ove
pilastri viventi
lasciano sfuggire a tratti confuse parole; l'uomo vi attraversa foreste di simboli, che l'osservano con sguardi familiari |
gabriele d'annunzio
Aneliti brevi di foglie sospiri di fiori dal bosco esalano al mare: non canto non grido non suono pe'l vasto silenzio va |
a.onofri
La cascata autunnale delle foglie gialle, è il ricordo dell'estate spento nell'oro stesso, dove si raccoglie l'albero in un arresto sonnolento. |
Le foglie appeseGli alberiALBERI
sono le statue
del tramonto.
Nascondono
covi d'ombra fiorita
Scavati
nella roccia
spoglia.
Gli alberi
sono le statue
del tramonto.
Sole dei rami,
linfa di pietra.
Stefano Anzani
SI ARRAMPICA IL BIANCO
muovono i pensieri sui lividi dei prati
Sono troppi i riflessi di paglia
I fiori
in fine velluto
stringono la vita alle api
Gli occhi cercano la sete
sulla gola dei sassi
Si arrampica il bianco sulle betulle
per vestire il senso della pelle
dove il nudo di una sera
mi ha fatto felice.
Giuliano Beretta
COME ALBERI D'AUTUNNO
Come alberi d'autunnole sensazioni.
Contorni
sfocati
hanno le immagini.
Il ricordo
è ormai
nostalgia.
Elena Bianchi
IL VECCHIO PIOPPO IN FIOCCHI Oh che scoppia
il vecchio pioppo
in fiocchi di neve
in nevischio fino
di lanacchio leggero
di cotone sottile.
E che sottile fuoco
vederti alla penombra
del salice sopra la peschiera
polsi di pietra marmora
facciuzza di seta mia
mentre il vento
allenta apre fa tremolare
la tua camicia di lino.
Mimmo Cervellino
DAL TRONCO ALLE RADICI Dal tronco alle radici
dalle radici ai rami
e tra le foglie
è una farfalla l'albero
in questo azzurro cielo
velato dalle nebbie
del luminoso ottobre
Dal tronco alle radici
dalle radici ai rami
e tra le brine
è una farfalla l'albero
in questo azzurro cielo
in questo sole sterile
in questo terminale ammonimento
di gennaio
Vittorio Cesana
MI RICORDO IL BOSCO D'AUTUNNO Mi ricordo il bosco d'autunno
lì avevo catapultato la vita
le speranze, la morte...
Ora è storia, lontana
frammenti di vetro
Spigoli nel cuore.
Non avevo pensato,
non avevano voluto.
E' accaduto!
un lontano richiamo
una voce nuova ha chiamato
Gianfranco Giudice
JE SUIS RESTE' SEUL DANS LE BOIS Je suis resté seul dans le bois
j'ai vu les arbres dépouillés
j'ai vu les feuilles tomber
mon coeur se baignait dans la foi
j'ai vu la douleur de la terre
dans les feuilles qui flottaient dans l'air
mon regard ne touchait que beauté
mais mes veines étaient enterrées.
Là où on peut entendre le vent siffler
mon coeur était oublié
là dans le bois, près d'une rivière
où les arbres chantent cette cantilène
mes mains sanglantes effleuraient la terre.
Je suis resté seul dans le bois
j'ai écouté la pluie pleurer
j'ai vu les oiseaux chanter
c'est là où peut entendre le vent siffler
que je me suis laissé tomber.
Les yeux renversés au ciel
l'herbe caressait mes prières
c'est là que je veux mourir
où le ciel baigne la mer.
Andrea Comalini
IL FAGGIO
E' in poco raggio rutilar di rame
al vespro azzurro di novembre il faggio;
monetine leggere, gialle lame,
fenditure di mosto, presepiali
incavi verdi. Qualcheduna cade
senz'aspettare il vento né la sera,
senza ragione o altro accadimento
che la propria natura; spera lieve
tra l'altre gira per la sua sciagura
che partì da picciòlo chiaro e molle
al primo sole appena oltre la neve.
VALZER D'AUTUNNOFilippo Falbo
Da piante
ormai
spoglie
danzando
nel vento
le foglie:
han
sedotto
altre
foglie.
Mauro Fogliaresi
PANTHEA
Variopinto come giardino in fioreè il mondo vagheggiato dal poeta.
Là dove scarlatte rose splendono
come astri sul purpureo crepuscolo.
I dorati crochi sono diadema per il lauro,
mentre l'impetuoso rampicante avvolge
in un vigoroso abbraccio la riluttante azalea,
come un ardito amante la timida compagna.
Dolce mi appare il sogno della vita,
sebbene tutto ciò non mi appartenga...
E tornerà la diafana neve, seppellendo
ogni colore, come grigia pietra tombale.
Ma come il seme germina nel terreno,
così l'Amore sopravvive alla delusione,
l'ispirazione riemerge nell'Artista:
tutto ciò che ha vissuto deve rinascere.
Variopinto come giardino in fiore
è il mondo vagheggiato dal Poeta.
Dolce mi appare il sogno della vita,
sebbene tutto ciò non mi appartenga.
Stefano Guastalli
SOLO ALBERI IMMOBILI Come uno stormo d'uccelli stanchi
che hanno smarrito il percorso,
lampi e ombre s'intrecciano, tracciano
inusitate vie, senza arrestarsi. Invade
la notte pianure ancira rosa: ci lascia
di nuovo la luce. Silenzio.
Non sentiamo scorrere acque, scorrere parole. Solo
alberi immobili, secchi, ancora, ancora,
fermi, quasi di ferro, uccelli senza canto,
foglie accartocciate ci stringono
alle spalle sollevano. E noi
dentro loro non visti. Un fremito di vento
si muove e siamo vivi, ancora, ondeggiano
fra annerite erbe. Flebile
è la voce che chiama dal fosso e disturba.
Giorgio Larocchi
SPETTACOLO MINORE Ogni mattina osserva la natura:il volo di un gabbiano che cattura
un pesce a fior dell'acqua e poi avanza
leggero in aria come in una danza;
l'accorrere di un cane, che ne vede
l'ombra mobile, lungo il marciapiede;
l'uccello che si posa sopra un ramo
e comincia a lanciare il suo richiamo
canoro; la lucertola che appare
furtiva sul sentiero e poi scompare;
il fremito dell'albero investito
da un vento lieve; il prato rinverdito
pieno di corvi che accorrono in frotta,
gracidanti e perennemente in lotta
per il cibo;le nuvole che in alto
s'inseguono leggere nel risalto
dell'ora mattutina; infine il gatto
bianco che si allontana quatto quatto.
Contempla la natura con stupore
in questo suo spettacolo minore,
-di cose marginali e quasi rare-
che pochi sanno cogliere e apprezzare.
Giovanni Lischio
INTORNO ALL'ALBERO
Intorno all'albero cresce il giardino
si perde come allora, a vista d'occhio,
in un palcoscenico vuoto.
Per un momento, fuori, non uno
ma due arcobaleni,
protesi dall'erba- e un ragazzo
cresceva, un altro no.
Angelo Maugeri
E DALLA MACCHIA VIENEE dalla macchia viene e per le dune
si perde lontanando sulla spiaggia
se brezza spira fatta aulente
il rosmarino
E vede sempreverde molte lune
divenire, e al sole che lo irraggia
l'alloro si disfronda e il cipresso
si fa opimo.
Niccolò Orsini DeMarzo
C'E' UN ALBERO
C'è un albero di fronte
alla finestra del mio studiolo
io sono innamorato di questo
albero, quando guardo fuori
lo vedo sempre in ogni stagione
quando mi guardo dentro
lo ritrovo ramificato
su per i rami della mia
dolce pazzia, quando mi scordo
lui si ricorda di me, si muove
fa partire un merlo dalla
cima della sua fronda
fa cadere una foglia
allora mi sovviene della
sua presenza, della
mia irriverenza che sale
imperterrita dal fondo dell'anima.
Sandro Parnigoni
COME FOGLIE D'ALLORO LANCEOLATE
In crescendo sull'orlo di ora
dalle nebbie sospesa
l'attenzione
ascolta
il canto rauco del lago saturnino
e lascia che dilati il viso
e la noia
che fosca si arriccia in scontento.
L'usura vieta inteneriti rimedi
ci assegna a domande
come foglie d'alloro lanceolate
il becco dei passeri picchia a lungo
invano si curvano senza ferirsi.
Anna Chiara Peduzzi
L'OLEANDROSenso di mistero,
brivido tremendo della vita:
dondola dentro il vento l'oleandro
nel fitto di una notte
senza luna.
Fantasmi alle mie spalle.
Fantasmi dentro al vuoto
che mi sta dinnanzi
Mi devo allontanare
in fretta.
Finestra vertiginosa
con vista sulla morte.
Rita Pellegrini
IMPRESSIONE Ti sento insieme onnipotente e inerme
come l'immenso faggio che in giardino
violentato dalla tramontana
graffia e schiaffeggia il cielo di novembre
mentre lo spazio che d'estate inombra
è un turbinio vivissimo di attese.
Antonio Bonavita
MOLLEZZE DI PETALI
Mollezze di petali ancora
per uno sguardo fatto alla luna.
Per non dirle il fiore di loto
per tacerle i colori dell'acacia
nel mattino svegliato di sorrisi.
Come raccontare la terra d'intrecci,
come dire il dondolante
calore della sua lingua.
Dove il cratere sgorga di viole
nell'incespicare del piede incerto
al passo / inteso al suo tremore.
Carezza di nomi ancora
nello sguardo danzante
che interroga il piede.
Ma dove ti ho perduto, ombra
di primavera, nel tuo schiamazzo dorato
se non in uno sgarbo
fatto per gioco alla luna di marzo.
Giovanna Sancristoforo
IL BERGAMOTTO
Tra gli ovali delle tuefoglie
Dedalo di vie
di una città
l'insidia del pescatore
il detto del sentenziatore
c'è il numero regolatore.
Plurime entrate
di matematica parola
ma tonda chioma il tuo
rivestimento.
La tua raccolta d'inverno
raccoglie fatica nei campi
fra i geli di rigide radici,
latitudine bassa non è garanzia.
A tutti chiedi l'atto di fede:
la dissonanza e l'eccezione degli acri frutti
non servi nei banchetti.
Come bergamotto
umile e senza gran voce di te
maturazione tarda, d'inverno
divieni essenza di profumi
di lavande sostanza
anelo io
con infinita lentezza
a compimento odoroso
ad essenziale soluzione.
Mariangela Caputo
"UN COROLLARIO ANCORA PER GRAZIA"(*Dante,Purg.29.136)
Il sambuco che odora selvaggio
i sentieri di Parzano,
i massi erratici
abbandonati dalla fredda piena
dei ghiacciai in catastrofica
colata
dal Disgrazia e dalla valle del Màllero
illuminano
i silenzi mattuttini.
Pensa il verde ruscellante
tra gli amareni
selvatici
senza il grido amaro degli umani,
l'assoluta
pace dell'angelo assente
(o sterminatore).
Ironici i tuoi occhi vibrano:
sarebbe il nulla
nello spazio
assiderato
della morena.
Ti tinge di brezza
essere sopravvissuta misura
dei silenzi, germe,
"visiting angel" della speranza.
Luigi Viganò
AMO LA MAGNOLIA
Le riservo talvolta uno sguardo
soltanto distratto,
la sfioro
mentre scendo di corsa i gradini.
A volte, pero',
mi soffermo
a guardarne
curioso
i boccioli:
ne studio il colore,
misuro se sono
stamane
più grossi di ieri.
Mentre le piante
d'intorno
lasciano a terra
le foglie,
e noi
sospesi,
che non sappiamo se ancora
spunteranno dei fiori,
tra i suoi rami
che resteranno verdi
già vedo
nascosta,
rinchiusa,
trattenuta,
la vita che è pronta a tornare
non appena,
in un marzo che non può non venire
scorgerà il primo raggio di sole.
Emilio Russo
ALBERIDisegnano cieli i rami,
gli alberi, questa voce
continua di terra segreta
e del vento il più sottile
pensiero indovinano. Parole
foglie e labbra, carezze,
mani facili a chiudersi
assetate. Poi ancora terra.
Luigi Picchi
IO TI HO CRESCIUTO FIGLIO
Io ti ho cresciuto figlio,
un albero nel vento
ed ora voli con le foglie verdi
lasciando al tronco soli rami spenti.
Ti hanno rubato gli occhi le vetrine
e i suoni d'una musica sirena
mentre la vita con le sue lusinghe
ti adesca, mi allontana.
Io ti ho cresciuto, figlio,
nelle sere di favole e l'incanto
era soltanto bolla di sapone
che con un soffio ti legasse al cielo
e a me, che resto padre ad aspettarti,
all'attesa mischiando del ritorno,
la speranza d'un giorno che mi porti,
non come un'eco
l'ieri nei pensieri.
Lucio Pisani
BOSCHI
Che bisogno di perdono, di pietà,
d'ilarità e di suono,
sulla strada che leggera passa
per il bosco prossimo al delirio.
Eppure è festa, festa d'aria
e di memoria, e tutto pare
più puro attraverso le parole.
Ma che paura adesso
delle parole pure.
Boschi d'autunno,
ilari di breve virtù
e di più breve potenza,
voi mi create, qui e ora,
mi risvegliate e poi
mi donate lo spirito.
Ed io, vento ingiurioso,
percuoto il vostro autunno
con spietata ammirazione,
con un soffio
che non so dirigere né annullare
Alessandro Quattrone
ARDE NEL BRACIERE IL LEGNO
Arde nel braciere il legno
colla veste di corteccia,
e stempera la vita
fermata dall'ascia.
Solchi raccontano l'anonima
storia d'un pioppo sconosciuto,
e sulla fronte rughe profonde.
Non è legna a bruciare,
non è legna a riscaldare,
ma d'amici perduti
il tepore dell'alito.
Non più tali,(inghiottiti
dal buio passato),
se non nel ricordo.
Ricordi caldi di soli d'estati
giocate sino all'imbrunire;
improvvisi tatuaggi ricomparsi
un eterno istante.
Non ho scordato, amici
cari, e se non ricordo i nomi,
se non ricordo i visi,
non vi ho scordato, cari amici.
Bruciaste per me, come
la vita dell'anonimo pioppo,
ed io per voi, quando
salii sul Golgota,
la croce in spalla,
sfidando non Dio,
ma ottuse convenzioni,
insegnandovi qualcosa
che credevo importante.
Fabrizio Alfano
IL GIARDINO DELL'EDEN
Ansimano le spire
fra le fronde del giardino
mela rossa a tarda sera
come un morso
dal veleno di serpente
muore e cade.
Più non odo la tua linfa
nè la carne ha il tuo sapore, Dio severo
più non tremo (e già non sono)
se la sete si fa scure
la vergogna cinge i fianchi nella notte.
Brùlicano nell'ombra
le papille del mio danno
originale inganno
d'immutabile virtù.
Sale
da tomba vuota il grido
lampo guizzo in un sorriso
dalle schiere del custode
srotolato
come il masso
più non copre la sorgente
della luce ma risplende
(In)visibile presenza.
Ora è pane il terzo giorno
che riveste bianche vesti
il corpo nudo
e muto
resta il morso
a quell'antico frutto appeso
è cosa acerba
Emanuela Anzani
EL PIN
Nassuu in la teppa,
'na brancada de teppa su on sasson grand e gross 'me 'na cà.Te se ninnavet al vent, content de vess al mond. Per tì, on pugn de terra e la rosada: ramm secch, magher 'me stecch, destin segnaa... Ma i radis hinn spontaa da la teppa, s'hinn slongaa sora al sass e hinn andaa giò a bass a cercà terra bona.
Te seret tutt patii dopo trii ann de fadigh e salass ma tì, t'hee ingabbiaa dent quel sass con tutt i tò radis, t'hee scorlii el coo, t'hee tiraa sù i barbis. Adess sul doss, in mezz ai alter pin te see lì grand e gross in scima al tò sasson, te giughet cont el vent semper pussee content de vess al mond.
Ma quanta gent la se lassa andà a creppà puttost che lottà per schivà 'na quaj sleppa...
Lor, ch'eren nassuu in del bombas, minga in la teppa. LA ROGORA
O mocc,
on mocc traa là
in mezz al bosch.
On fil
d'erba secca,
on alter anmò
e mò
ona foeuja...dò...
trè...se cunten pu.
Ona lusnada,
l'è 'na sceppada
de nisciolann
che la s'cioppetta
frispol de foeugh.
Altr'erba,
alter foeuj se pizzen;
el se desseda el bosch
in de st'alba de foeugh.
No...la rogora no!
Cent ann...
Lì apos
ona lenguascia
cont el sò calor
la gira intorna
e la inciocchiss
e la inorbiss
e la ghe parla
pian pian sott vos,
poeu la fa dent,
la brascia sù...
come on serpent
a tradiment.
Sberlusissen i foeuj,
torc a vent,
brasc avert contra el ciel.
Ona balla de foeugh
per cantà la soa gloria,
la soa storia.
'Na spianada de scendra...
e fuston de carisna...
L'era on bosch.
Su la rogora,
gh'era on coeur
e duu nomm.
Stefano Fedeli
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