POESIE DEDICATE ALL'INFINITO

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PICCOLO INFINITO PORTATILE.

Quando di Leopardi si dice, come ha fatto Bontempelli, che la sua opera "è vasta e spinge radici per molta terra e fronda in vario cielo", si coglie certo una verità ma si rischia anche di dire un'ovvietà, dal momento che la sua presenza e il suo influsso sono un fatto ormai indubitabile, rubricato com'è dalla critica. Quel che però non è apparso abbastanza è la memoria segreta e sotterranea di certi testi, come l' Infinito, la cui riemersione in testi (e contesti) disparati e diversissimi ha un che di straordinario e misterioso, che lo fa assomigliare a una sorta di carsica vena inesauribile, una memoria segreta e sotterranea che s'impasta e struttura con l'idea stessa di poesia.

Forse, a voler restare in ambito di metafora vegetale, bisognerebbe parlare più che di albero con tanto di conveniente radice e fronda, come fa Bontempelli, di rizoma, di formazione cioè sotterranea di paradossale vitalità, che non solo sacrifica ogni produttività verticale e normale (normativa) ma rinuncia anche a porsi come origine e fondamento di alcunché, per affermare la propria natura unica e inassimilabile, la sua solitaria e scomoda presenza senza figliolanze prevedibili e descrivibili in uno stemma genealogico.

L'Infinito è così : il testo, nel senso più etimologico del termine, di una serie infinita di "distrazioni", di insorgenti polluzioni di immagini e parole, come punti di accensione sentimentale e fantastica che mettono in questione il soggetto della scrittura e impediscono contemporaneamente al lettore di acquietarsi all'ombra di un significato definitivamente costituito.

Cosa si ripromette, allora, questa silloge che nell'anno del bicentenario della nascita del poeta di Recanati assume anche il valore di un omaggio? Si ripromette di rintracciare e raccogliere ciò che di quel testo nella poesia del nostro tempo, dei poeti che l'indagine degli specialisti ha poco e nient'affatto interrogato, è rimasto nell'oscillazione tra totalità e scomparsa del senso. Ne è nato così un catalogo di voci, spesso eterogenee e distanti, accomunate dal fatto di poter disporre dell'archetipo leopardiano come di un'eredità insospettabile eppure giacente, disponibile ad ogni uso e abuso, in una sorta di più o meno casuale donazione catenaria: un catalogo che convoca ed esibisce testi di autori che oggi vivono ed operano scrivendo il loro esserci nel panorama morale e civile di questi anni, con la coscienza più o meno esplicita del loro ruolo di testimoni di un'esigenza di parola, attraverso cui passa e si afferma una protesta della mente creativa contro la tirannia dello spazio e del tempo...

Vincenzo GUARRACINO.

La mostra e il catalogo curati da Guarracino e Solari con una presentazione critica di Roberto Sanesi sono dedicati all'Infinito e ad alcuni aspetti simbolici presenti nell'opera del poeta di Recanati. Sono stati, infatti, interpretati da Solari certi riferimenti che hanno un chiaro legame con i versi leopardiani e con la sua passione di studioso di Kabala e di linguaggi antichi che senza dubbio denotano una profonda ricerca di perfezione. Sono numerosi infatti i riferimenti alla cultura Ebraico-Kabalistica che si possono ritrovare nelle liriche di Leopardi, prime fra tutte l'Infinito e il Sabato del villaggio. Ed è proprio da queste due liriche che la mostra inizia un percorso soffermandosi su specifici nodi concettuali come l'infinito o l'En sof Ebraico. Si è inteso inoltre, alla luce di tali nuove ricerche, effettuare un omaggio alla radicata presenza della stessa nel territorio Marchigiano e Romagnolo con un particolare riferimento a due importanti figure, vissute tra medioevo e rinascimento, il fondatore della scuola Kabalistica Marchigiana M. Recanati che ispirò grandi studiosi del tempo come Pico della Mirandola o più tardi lo stesso Giacomo Leopardi, e O. Yare da Bertinoro, autore di importanti scritti letterari e traduttore di noti testi legati alla mistica Ebraica. 

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SOLARI ha effettuato, recentemente una rilettura in chiave Kabalistica dell'opera giovanile di Leopardi, "L'Appressamento della morte" e ne ha realizzato una inedita raccolta di dieci tavole che si auspica di poter mostrare magari assieme all'originale che si conserva proprio a Como.

 

I POETI E LE POESIE PUBBLICATE SUL LIBRO
EMANUELA ANZANI PIETRO BERRA FRANCO CAJANI
MIMMO CERVELLINO LOREDANA CILIONE MARIO CONFORTI
TIBERIO CRIVELLARO FABIO DAINOTTI MICHELE DE GIACOMO
GABRIELLA D'INA ANTONIO DONADIO FULVIO FEDELE
MAURO FOGLIARESI GIO' FERRI GILBERTO FINZI
LUCETTA FRISA FRANCESCO LA COMMARE GIORGIO LAROCCHI
LUCIANO LUISI NINO MAJELLARO LEONARDO MANCINO
FRANCESCO MANDRINO ANGELO MAUGERI RINO MELE
ALDA MERINI LORENZO MORANDOTTI LUIGI PICCHI
OMAR PIRRERA GIANNI RESCIGNO FRANCESCA RUFFATO
ROBERTO SANESI ALBERTO SCHIEPPATI DARIO TALLO
GIANNI TOTI MARIA LUISA VEZZALI LUCIO ZANIBONI

EMANUELA ANZANI

DALL'"INFINITO" DI LEOPARDI

Vorresti abbracciare

in un solo istante

l'Infinito

spaziotempo naturale delle cose

eppure all'improvviso

hai già capito che

il fuori e il dentro dell'abisso

fa silenzio

in cifra di se stesso l'occhio

trova salvezza

nel naufragio

 

PIETRO BERRA

A GIACOMO LEOPARDI

Quando mi schianto

          dentro di te

                   l'infinito

 

FRANCO CAJANI

AL DI LA' DELLA SIEPE

L'anticipo della primavera

ti ha visto nel parco romeno

ascoltare Chopin sotto la scultura di pietra corrosa

a due passi dal lago

forse alla ricerca del tempo del '69.

 

Lo sguardo va al di là della siepe

l'infinito porta l'eco della fiducia

distrutta nell'età che corre, d'un baleno

ti assale il ricordo quando ti rifugiasti

in un mattino solitario in un letto

di casa tua e non sapevi

che destinavi i prodromi della tua sofferenza.

MIMMO CERVELLINO

UN MARE DI LUCE ALLAGA

Con che strazio mi rinserri mia tremolante

rugginosa siepe. E in che dolore

ciò che svanisce non ritorna

ciò che si china s'abbandona;

questa morte sposa trame purpuree

e riflette ogni foglia secche venatuire

sottili quando fluttua

nerigne quando sussulta

seccata al ramo.

Che la stagione è finita

che i nudi spini tremano incessanti

e si annodano gli esili fili d'erba

sci sciolgono gli intrecci del cuore.

mentre un mare di luce

allaga il cielo, si riversa sulla siepe.

LOREDANA CIGLIONE

CADENZE

Com'è amaro sapere che la vita

è questa noia che per brutta sorte

al fragile esistente il sogno elude.

Ma cercando e aspettando, illuminati

varchi dalla mia stella, e sempiterne

correnti, e velocissime mete

io nel voler mi pongo; dove per gioco

il tempo rassicura. Ma se lamento

sento salir da queste sponde, io dentro

assoluto sgomento in sottoluce

sto camminando: e guardo già l'inverno

e la mesta ragione, e la cosciente

sfera e il mal di lei. Così di questa

oscurità si nutre il giorno mio

e ritrovarlo è pena di restare.

 

MARIO CONFORTI

QUAL TU RESTI, SPERANZA

Silenti colli,

chiese ricche di vestigia e storia,

voi mi insegnate

che tema non c'è all'ombra dei cipressi.

Pace io trovo nell'acqua cheta,

forza io cerco nella mia fede.

E voi rami semplici,

che vi siete persi fiori e foglie,

che aspettate a morire?

Non vedete che anche il cielo ha lasciato la sua grande

orma in quella lastra di ghiaccio?

Sul dosso,

calato il sole mattutino, scende

il notturno, s'abbruna un solitario sasso;

copiosa rugiada sulla mia terra arida, ecco

qual tu resti, speranza, ultimo fiore.

 

TIBERIO CRIVELLARO

...E IL SUON DI LEI...

"...Porgea gli orecchi

al suon della tua voce..."

 

Come il pianto del mar

canta, si riflette e muore

nella madrepore spirale

e il suon naufragar non dolce è,

 

il canto dell'allodola in uno specchio

di colei che amora

si avvita a morte

d'un mal sottile...

 

Ogni altra voce è un'eco

    che si spegne,

ora che una mi chiama

dalle vette immortali...

 

...Di me rammento

che esultavo amandoti...

...Ed eccomi perduto

         in Infinito

 

FABIO DAINOTTI

QUI E' L'INFINITO...

A sera ero seduto sul pensio

della collina tra il fruscio del vento,

formavano le elitre fragili

un pallore evanescente dentro il rosso

del tramonto. Suonava la campana

che addolciva la mia pena segreta

ad ascoltarla.

 

Ero solo, straniato nel silenzio:

e non trovavo pace. Freddo

così è il mio amore. E invece

t'amo. Madre, qui è l'infinito

e ho paura...

 

MICHELE DE GIACOMO

PADANA

Quest'acre pianura, tutt'afa o ghiaccio o nebbia.

che offusca e sospende città fuori dal mondo,

tortura i poeti e li uccide, lentamente,

a meno che diventino meschini

anch'essi, tanto da coglierne di anno in

anno la piatta uniformità, lieti

se qualche volta scoprono che il vento

si abbassa tra i pioppi e li scuote e che davvero

lontani, lungo l'orizzonte, si ergono

ancora, sorpresi dal cupo azzurro, i monti.

GABRIELLA D'INA

UN PRODIGIO SENZA ARUSPICI

Finché dura la luna

tu non dovrai temere

il passaggio di macchine rombanti

sulla strada statale.

La tua figura spiccherà sulle strisce

alla luce inquirente dei passaggi.

S'impigliano i vestiti ai rami dei noccioli

nell'acqua fonda fanno festa i pesci.

 

Di mandorle. Un ricordo in bocca

pastoso e colorato.

Cadono con il rumore di giornali vecchi

i frutti di carrubo sull'asfalto

Un sapore dolce come alla terra il tuo corpo

di cui nessuno si ricorda l'erba.

 

Se fossi etrusca stasera

seduta presso la spianata

avrei visto un prodigio senza aruspici

quattro bei corvi neri che passavano accorti.

Uno se n'è abbassato e ha gracchiato per me.

 

ANTONIO DONADIO

DALL'INFINITO (Torni)

Sempre ritorni tu sull'ermo colle

a questa siepe che nessuna parte

dell'ultimo orizzonte ormai esclude.

Eterno vai per spazi interminati

e ti fai voce tu nei sovrumani

silenzi di muta sconvolta quiete;

e se chiudo gli occhi, anch'io per poco

odo la tua voce fattasi vento

e quello che cantasti un dì, io quello

ora ritrovo in quest'eterna voce.

E nulla può il tempo con l'eterno

se si veste d'incanto di presente.

E' solo un sogno, una follia questa

che prende il cuore ed il pensiero mio

il naufragare in te come nel mare.

 

FULVIO FEDELE

OLTRE L'ASTIOSO LIMITE

Sì,

c'è una linea d'ombra,

un margine, un confine, un lieve ottundimento di colori

come d'erba che incontri la pietraia e lì diradi,

o una dieresi fonda, una frattura

che fa tra disumano e umano

più aspro il contrappunto

Poi, oltre l'astioso

limite della morte, è ininterrotta

mutazione trasparenza di corpi.

Imperfezione.

 

MAURO FOGLIARESI

FINISTERRE

Da qui al tramonto

c'è tanto tanto mare

le onde ripetono le onde

ed io vorrei volare

 

GIO FERRI

DISINFINITO

Sempre dura mi fu quest'alea forma,

questo pensiero che tanta memoria

e l'antico tempo alla mente esclude.

Penso e mi figuro l'interminato

irracconto, ma non ne leggo i segni

ardenti e vivi, e quell'inquieta voglia

nel ruminar si torce: onde per molto

il cuore all'ansia s'impaura. E la voce

odo bisbigliare tra queste stanze

e non la sento e la vo comparando

alla mai poesia che mi sovvien muta

e morta, sempre sola e inascoltata

al rumore del presente. E tra questa

spersa misura sbianca il voler mio

che si rinnega tristo in questo mare.

GILBERTO FINZI

EURIDICE (per Anna)

Uno di noi voi nessuno

apriste apra apriremo una scena o una porta

l'unica che dà sul dopo

 

e un vuoto strato di neve sbilenca

che sa di scala trappola e chimera

sbrancola e inciampa, svirgola e branca

i tre-quattro mondi della solitudine.

Escalier, escalier! Tu m'a donné

-quoi- l'eternité- o soffusa di tempo, ladra-

il non è mai passato che per un solo secondo (il tempo)-

solo momento, il tempo- il naso buco e spaccato dal silenzio

raccapriccia, e via sgriccia di sale in sale

 

i gemelli per mano conducono adducono

una di due cose ignote al vivo, pure e illimiti

fino al debito di stelle, fino al culmine

di nevi sognate, fino al dorso

della sozza e sepolta nel lungo dopo

LUCETTA FRISA

INFINITO IL VERBO

Diventa infinito il verbo

che non si coniuga

entra in ogni cosa

va via nel nulla.

Mi sposo con lui

Vado dove mi porta

Senza pronomi.

Sulla carta

Scivolano fantasmi

Vogliono terra e corpo

Versi sicuri netta sintassi.

Tenaci nelle fessure

Tra parola e parola

-pezzi di cielo o di abisso

azzurri e neri di lontane pupille-

come in un’ebrezza si affacciano.

Con un colpo di ciglia o di penna

Recidere visibile e invisibile

Dichiarare guerra nel mezzo

stare all’erta-

armati, non fare armistizio.

Che cosa è cedere?

Dimenticare? Annegare?

 

FRANCESCO LA COMMARE

SOLSTIZIO

Quest’ala sempre viva di silenzi

che nutre tempo e spazi di colori

è come l’ombra nera che si ferma

sott’alberi che perdono le foglie.

 

E quando il vento lascia l’orizzonte

e sfiora sguardi fissi sotto i cieli,

un pianto si risveglia alla memoria

ed ombre senza forme alla deriva

ingrigiano di assenza vasta terra.

 

Un grido, che sconosco, e micidiale,

mi scorre dalla mente fino in gola;

più nulla mi soddisfa in questa vita?

 

GIORGIO LAROCCHI

LUNGO I FOSSI

Infiniti inverni avanzano

Brividi di prati e siepi coperte di neve

Rivendicano rancori

rantoli raggiri

mentre il cielo s’oscura si spaura

richiama altri paesi

l’ultimo guizzo della rana

lungo i fossi della risaia

 

LUCIANO LUISI

LA META

Fin dove giunge lo sguardo (l’anima

Non ha limiti al suo penetrare), laggiù

dove l’arco dei monti segna in ombra

il confine, cosa è possibile vedere, che luce

si leva dietro la vetta come una vampa accecante?

E che dicono

Quei segnali, a chi va quel messaggio?

 

Così al viaggiatore che le scorga appaiono

Tenebrose nell’aria, alzate a chiudere

un mistero insondabile, a spegnere

le inutili domande, che rimangono

senza risposta, a rendere

tetro e pieno di incubi quel luogo.

 

Eppure noi,

anche sospinti dall’ansia, o cantando,

o con gli occhi perduti in altri occhi e il cuore

confuso come la mente,

le abbiamo sfiorate ignorandole,

tutti almeno una volta, senza accorgerci

di quelle luci e quei segnali. Ma

-a un tratto-

eccole qui incombenti quelle vette a tagliare

il nostro spazio

a misurare i passi che separano

da quell’ambiguo anfratto. E siamo in fila

come aspettando un turno, e non c’è più

-non rimane- che un solo viottolo

di tante strade che correndo ci parvero

larghe e infinite, e va

a quella meta oscura. E non ci è dato

sapere nulla, nulla più di quanto

sia concesso sperare o immaginare.

Ora (o ci sembra) siamo tutti uguali. A quale

Milizia apparteniamo?

Il luogo

È questo. Ormai è certo. D’altri

Non abbiamo sentore.

 

NINO MAJELLARO

IL NAUFRAGIO NELL’INFINITO

"Lingua mortale non dicembre

quel ch’io sentiva in seno"

 

La poesia non è lingua mortale

è la voce dell’uomo solo

è lo strazio di ogni tempo

è il naufragio nell’Infinito.

 

All’inizio del terzo Millennio

Leopardi ancora

               "che vuol dire questa

solitudine immensa? Ed io che sono?"

LEONARDO MANCINO

PER L’INFINITA’ DI LEOPARDI

Non finita luce. Bianco spazio della luna continua

nel giorno come storia in via d’abbandonare il campo,

infinito tutto

ora in questa, ora in quella strenua

strategia di visione.

Del minimo non eterno s’ha paura.

La parola vale irripetibile finzione,

la mente

vasta come l’orizzonte intorno e come il mondo

s’accalca nell’intimo del pensiero vagante.

Il pallore è resistente alla virtù e sua residenza.

Straordinaria

fantastica

la trama di figure sonore

e meste in infiniti fili d’intrecci

che si prolungano une in altre

determinando numeri ed effetti, utopie.

Circonferenza interna ed ombre: aporie canoniche

Come disperse al vento dell’invenzione, eppure

nella vasta pianura a fronte

di un occhio stanco di lucertola

non c’è un varco e nemmeno una siepe

su cui voglia posarsi un’anima sola.

Genio dunque, che altro?…

Così affonda nel grande quadro

D’una pesante tristezza invito a soccombere

-e primo passaggio di un’anima al globale-l’idea chiara

e distinta

(videbat ad oculum: avrebbe voluto Keplero)

con il moto vagante verso

la soluzione dettata dal pur cercato principio.

Decresce il presente tutto

Del senso compiuto, da un margine d’ombra

di siepe

nell’invenzione della postura sul colle

al suo orlo di terra

come per un gioco, e tragico giogo,

l’immagine inscena il disegno dell’inizio.

Il soggetto sfida il soggetto: prostrati a capo chino

sul quaderno delle massime

non c’è motivo di pensare nell’ulteriore

-e nemmeno ora che sì è costretti ad essere

nella costellazione mobile dei presupposti-

che il poeta

indicatore preciso e suo malgrado

possa trovare nel gesto della fine

il principio

plausibile al netto di sorpresa

d’una soluzione.

Ed ogni scavo non è verso il varco.

 

FRANCESCO MANDRINO

L’INFINITO

Chiamami, dal limbo internetto

Che non nasconde ma confonde

Al guardo, previa il testo,

tanta parte della stesura;

by-passalo col volaverba

e accusa ricevuta

dell’ipertesto scritto a manent

non erudito, questo,

che altro dirti non vuol

se non gravezza di sua sorte.

 

ANGELO MAUGERI

OGGETTI D’AMORE

O nelle più grate delle mie

Latitudini ore e ore di veglia alterate

 

foreste più dolci e selvagge

le false costellazioni degli assedi

 

dove gli assalti spostano i margini come

una variazione sul tema della farfalla

 

le fughe tortuose le curve

indescrivibili eppure qualcosa accade

nell’assorbire le barriere

del buio il faticoso scandaglio

 

è così che rende

vibratili le ali questo spazio

d’aerei limiti…

RINO MELE

IN UNA RETE

Sempre di più mi perdo

(e perdo l’orientamento, la carta:

topografia, mappa, le strade accecate

in una rete). Un demone furbo,

o il consiglio che suggerisce, distrugge

quel poco che resta. In uno strano ascensore,

vado in alto e in basso per volontà altrui,

il mio stesso peso, la leggerezza

che l’accompagna mi spostano

e un pedale divino fa il resto.

Rispondo con un sorriso

Mentre il mio corpo sale, s’allontana,

o discende. Perdo sempre di più il gusto

(e il gesto) dell’errare. Muovermi,

camminare, sbagliare.

 

ALDA MERINI

UNA PRODIGIO DI VITA

Il grembo di un ragazzo

è simile ad un deserto infinito

che occupa spazio nella mia mente

e sospiri e tuoni. Invano

ti ho cercato nella passione

tu ragazzo che ami

sei un prodigio di vita

la mia maledizione

il mio collo inferiore.

 

LORENZO MORANDOTTI

INFINIRE

Il poeta è il filosofo,

il filosofo e il poeta

una colonna di uomini

arreca dolori

come un incubo

un magma di buio

parla ciascuno

il proprio linguaggio

trascinano vecchi Maestri

non sanno che farne

qua e là nella mente

per quale dottrina

ora il mondo è l’imago

procede e naufraga

va contro

i suoi fatti

non più da specchiare.

LUIGI PICCHI

NAUFRAGIO

E se nuove costellazioni sulla pista

Di ghiaccio disegnano i pattinatori

sarà ch’è più intensa e cara a me

la vostra voce remota di vento e ombre,

antiche foglie d’un’improvvisa siepe.

Un brivido, quasi sospiro appare

L’ampia fluente falcata di danzatori

In fredde luci di sera, ma al primo

Sole già fioriscono i vostri arazzi,

colori di melodie, in numeri voci,

bisbigli e rumori e tutto in fine

non è che nulla, vuoto, solo silenzio,

eterna pausa dove in soffio parole

partono perdutamente spore, comete.

OMAR PIRRERA

OMBRA E VENTO

Paura di sognare ancora

Nelle ultime ombre della sera:

e già la notte, intorno

all’ombra delle pietre, appare

per incanto.

Qui la vita è fatta di sporgenze.

Qui la vita si sconta nel pensiero.

Qui il Sole splende solo

e nel silenzio della sabbia io

scrivo parole che il vento

annegherà senza un perché.

GIANNI RESCIGNO

ORE D’OTTOBRE

Entra ottobre.

Smorza fuoco di scogli.

Con giri di rondini inquiete

appanna d’ombre le spiagge.

Smania il pettirosso vagabondo.

Dà l’addio di settembre

A ville inanimate.

I venti non lavati

quasi inerti

cambiano cammino.

Di rosso arde il giallo.

S’abbassano le voci.

S’ode tutto respirare.

Respirano le ore

in spazi enormi di silenzio.

Ore di luna.

Ore di pensiero.

Ore dietro le porte

della sera…

Dietro le porte della sera

pronte a spiare

il singulto della rana

che naufraga nel sole

ancora fuso nelle pietre.

FRANCESCA RUFFATO

IL CIELO, L’UNIVERSO

Nel buio sono nata. Nell’utero

di un mondo largo due metri per due metri

e la placenta erano capelli.

L’uomo non capisce. Solo l’anima

è consapevole della vita e del canto.

Il mio amore è così grande da quando

ho visto le pareti rosse e macchiate

intorno a me, così grande è la speranza.

Io rincorro quando voglio le stelle

delle mani, dormo nel bosco di sequoie

e non m’importa degli assurdi autobus

che ridono alle mie spalle.

Sono il cielo che mi sta sopra

e l’universo che mi sta dentro.

 

ROBERTO SANESI

CERCANDO DI CAPIRE COSA SIA

..quell’eccellente fantasma, quel limite

che ci oltrepassa, quel predisporre il finito

per i sentieri dell’io, nella discarica

che scorre parallela alla sua stessa logica, il gusto

dell’identificare il proprio io e la vita, perfino

l’anima del mattino lo troverebbe risibile…

e infatti gli amici

sempre seduti attorno a un tavolino

non fanno altro, beccuzzano e sbeffeggiano, e un vento

di lingue verdi osserva…ti provi a ricordare

il timo, il rosmarino, l’acqua che rifluisce…

le pietre che una volta

ti rotolavano in bocca le senti scricchiolare…

che ombra, che nembrotte di nuvole dal cielo

rabbrividisce i tuoi nomi, compresi

quelli non pronunciati!; e le insidie, la loro

necessità di proseguire il gioco,

come potranno agire in questo freddo?

Ovverosia, come accettare senza turbamento

che proprio non sia nulla pensare il pensiero

di non pensare, solo perché nel verbo non esiste

un infinito finito?

Oh natura, natura, che nodo di ragioni

Per apprezzare ancora la campagna.

Cercando di capire cosa sia posso soltanto dirlo.

 

ALBERTO SCHIEPPATI

TRACCE, VARCHI

A che serve, dici,

attraversare il mare:

c’è un oceano

che non vedi,

che non puoi

colmare. Bastano

le origini, certe

tracce a garantire

il tempo. "E di là,

credete, non sarete

meglio". Ma intanto,

mentre parla, l’acqua

diventa inquieta. Nel

lungomare trasparente

annegano dolcezze,

risentiti amanti. E non restano

che fatti,

varchi,

dati. La banalità

del meditare.

 

DARIO TALLO

COME FOGLIA A SERA

Come foglia a sera

mi piace

stormire in silenzio

e riparare

nel fruscio del vento

i pensieri

d'aria impigliati

 

GIANNI TOTI

IN QUESTO COSMOFRAGIO AMARO

Giacomo nostro sempre ci fu odiosa

quella spiaggia gioconda ancor che trista

plaga solinga con quel lauro verde

e quel roveto che il mondo eclissava

e schermava e furava anche la vista

dell’ultimo orizzonte: vi perdevi

l’animo tuo spaurando dentro il vento

tumultuoso quell’impeto e il fragore

paragonando al silenzio infinito.

Immagini! Il silenzio non sapevi

inquinato dal fossile rumore

dell’origine cosmica e non è

infinito ma solo illimitato

l’universo dei nostri antroposauri

che annega in questo cosmofragio amaro.

MARIA LUISA VEZZALI

ALL’INFINITO

Dal fondo dei corridoi

senza pareti della casa

tra la lanugine

spaventosa del nido

in ogni cielo fissa

l’occhio assoluto

gonfio di giorni

come una madre

al suo sguardo io

piatta come un graffito

il suo sguardo

scava nel ventre

una caverna simile

a una nave

caricata per il naufragio

 

LUCIO ZANIBONI

ODORI E TREMORI D’INFINITO

Altro gioco nelle sere di maggio

confondo con le lucciole i chiarori

dell’infinito mare zodiacale. Odore

di campagna fresco di terra

i nostri sogni lassù a tremolare.

Mani tese implorano migrano stormi

Altri ritornano. Nell’addizione aggiungo

giorno a giorno e non tiro la corda

del totale sospeso il conto da pagare

al creditore eterno. Una stella cade

vivrò un altro un altro e ancora un giorno.

Qualcuno batte carne da impanare

assottiglia vuol farla bastare. Qualcuno

beve sorso a sorso centellinando. Passa

la lingua sulle labbra dopo: esperto

bevitore dice da quanti anni è divenuto vino

il mosto sa dirne i gradi. Io so dire poco

della vita: la foglia appassita

e il sangue intorno sulla chioma d’autunno

poi il sonno nelle notti d’inverno scheletrite

bianche di neve col rigore di pioppi

nel festone lunare… Altro non so

di questo mondo fatto spesso di lotta

di odio…

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